Daria La Ragione //
Jean-Michel Basquiat
a cura di Olivier Berggruen
Il volume comprende un insieme rappresentativo di opere incentrate soprattutto sulla visione frammentata che l’artista aveva del corpo umano. Dalla fine degli anni settanta quando si firmava con l’acronimo SAMO “SAMe Old Shit” (letteralmente la solita vecchia merda) fino alla precoce morte nel 1988, Basquiat dipinse soggetti che affermavano il carattere precario dell’esperienza urbana: corpi scheletrici, figure nere, immagini che affondano le radici nel paesaggio della sua giovinezza (auto, aerei, grattacieli, poliziotti, giochi infantili, cartoni animati e fumetti, graffiti, saturazione di simboli come © o la corona), a cui sarebbero seguite poco dopo composizioni più dense realizzate su tele collocate su rudimentali telai visibili. Il corpo, costantemente evocato, si trasforma in una idea, una traccia di una presenza spettrale che si trasmette attraverso l’energia fisica che caratterizza l’artista. L’immagine del “corpo” si presenta inizialmente come quella dell’artista stesso, sotto varie sembianze e in termini anatomici. Successivamente si può intendere come “corpo scenico”, o “corpo recitante”: il cosiddetto “graffitismo”. Si osserva anche nel suo interesse per le immagini di grandi musicisti e sportivi: non si tratta solo della loro “fama”, ma della capacità di trasmettere qualcosa di spontaneo, che al tempo stesso risulta sublime.
Come sostiene Olivier Berggruen, curatore del catalogo, l’artista rafforza la sua presenza attraverso l’evocazione di frammenti, un modo per “scacciare i fantasmi”, frase prediletta che compare in almeno tre dei sui quadri. La presenza schiacciante di creature somiglianti a zombie che sembrano tornate dal mondo dei morti, i resti di scritte, a volte cancellate e altre volte incise nella tela con forza inaudita, affermano la particolare situazione di Basquiat nel cercare di superare l’abisso che esiste tra la fugacità della vita e la riaffermazione della stessa attraverso il gesto del pittore.