OPOS vuole quest'anno affrontare il concetto/soggetto del "vecchio".
Siamo dubbiosi ma spesso orientati all'idea che il passato sia meglio del presente, che quello
che abbiamo avuto sia meglio di quello che abbiamo. Il ricordo, ciò che è stato e che non sarà
più. Quella cosa "oldie but goldie". I nostri, personali "bei tempi andati". Unici, irripetibili.
Paradossalmente la categoria del "vecchio" assume valore quando ci rimanda e qualche
esperienza che abbiamo vissuto da giovani. A qualcosa che è nel passato ma che fa parte
indissolubile della memoria. Riteniamo spesso che le cose passate siano meglio di quelle
presenti. E che vecchio sia un sinonimo di "antico" e che quindi denoti la capacità di
accumulare esperienze.
Per questo motivo pensiamo a volte che "vecchio" faccia rima con "saggio". Anche se spesso
un vecchio uomo è semplicemente un uomo vecchio. E di questi di uomini vecchi ne abbiamo
in abbondanza (almeno nel primo mondo). La nostra è una società di vecchi che però sono
rimossi dal piano comunicativo. Non vengono ritenuti adatti per presentare il mondo patinato
dei prodotti e del consumo.
Viviamo infatti in una società in cui esiste un "imperativo della gioventù".
La tradizionale classe dei vecchi malati e decadenti si avvia a divenire una ginnasticata,
ormonata, levigata maggioranza silenziosa.
E' necessario indagare questo fenomeno e per fare ciò, probabilmente, è utile forzare gli
stereotipi e definire le nuove caratteristiche del "vecchio" e scoprirne le dimensioni che si sono
trasformate nel tempo. Dalla genetica alla gerontologia. Alla nuova dimensione culturale e
sociale di una società "vecchia" che vuole sembrare giovane. A come tutto ciò porti un
cambiamento nel nostro ambiente, nelle cose, nei servizi, nella comunicazione.
Se poi il discorso sul vecchio esiste è perchè esiste un discorso sulla memoria. Se colleghiamo
questi due termini nell'esperienza quotidiana contemporanea subito noteremo che, nell'era
della digitalizzazione della memoria, tutto ciò che prima ritornava con un alone mitico,
trasformato dal filtro dei nostri ricordi, ora ritorna velocemente e impietosamente, con un
semplice click. Tutto è disponibile nella versione più esplicita, disponibile. Come una
sovrapposizione di strati non fusi che ogni tanto qualcuno riattiva con un brutale gesto di
riscoperta, un "decollage" che strappa e non ricuce. Che riporta alla luce la sola forma senza
pensiero.
Un'aggiunta di frustrazione proviene poi dal rendersi conto che spesso è la necessità del
mercato più che l'effettiva qualità dell'esperienza da riscoprire a decidere i tempi e i modi di
questo ritorno. Paradossalmente la grande disponibilità di "vecchio" finisce per distruggere
anche l'integrità del nuovo. L'"eterno ritorno" finisce per essere un "eterno presente" in forma
di "compilation", o "meticciato" o " vintage" o "riscoperta". Un gigantesco flusso digestibile in
cui i "segni" di un progetto originale sono sempre più difficili da scorgere.
OPOS chiede ai designer una riflessione su questo tema. Una riflessione che deve provare a
tradurre in progetti ed oggetti concreti questa nuova e controintuitiva condizione della società
e dell'esperienza umana contemporanea.