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23.02.2023 # 6217

Marco Maraviglia //

Rossella Mutone espone “in Fede”, 29 fotografie bianconero all‘Art Garage

Tra sacro e profano, la religiosità di Napoli espressa attraverso una ricerca visiva dell‘autrice

Napoli è la città italiana con più chiese dopo Roma. È detta “la città delle mille chiese”.

Chiese medievali, rinascimentali, barocche, chiese sconsacrate, chiese chiuse, interi monasteri destinati ad attività ludico/sociali, c‘è persino la copia della Basilica di San Pietro del Vaticano… Ma quanta religiosità c‘è qui?

 

C‘è traccia di religiosità a Napoli visibile in ogni angolo del centro storico. Edicole sacre, piccole o grandi statue di Padre Pio innanzi ai bassi. San Gennaro è dipinto sui muri in tutte le salse: di fianco a Caravaggio, con la mascherina, in versione Superman o in versione da guerriero di Jorit.

Fedele, laica, prosaica, profana, superstiziosa, passionale, festaiola, la religiosità napoletana è una filosofia a sé. Perché contaminata da credenze popolari, danze e riti mistici.

Anche chi non è un cristiano praticante, o forse nemmeno credente, si infila nel portone della Chiesa del Gesù Nuovo per lasciare un obolo e farsi il segno della croce davanti la tomba di Giuseppe Moscati. Il medico Santo.

Chi non va a messa, chi non si confessa, non si perde comunque la liquefazione del sangue di San Gennaro. Perché a volte non si tratta di essere fedeli ma di far parte di quel sottile fil rouge che unisce sotto lo stesso cielo i più superstiziosi. Se il sangue non si scioglie, il napoletano come minimo tocca scaramanticamente la punta del “corniciello” che ha probabilmente in tasca.

E poi le capuzzelle di Napoli. I teschi della chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco o quelli del Cimitero delle Fontanelle alla Sanità. Da adottare, omaggiare con una monetina, un rosario o l‘icona di un santino. Tra grazia ricevuta, desideri di vincite al lotto e di buona salute.

 

È in questo contesto che Rossella Mutone indaga la religiosità di Napoli fotografando in solitudine e con discrezione attimi di intimità.

 

Ho cominciato a notare che le chiese con le loro luci e le loro ombre, i volti dei fedeli assorti a pregare non durante una messa ma in situazioni intime attiravano la mia attenzione. Sarà che amo entrare nei luoghi di culto quando non c‘è quasi nessuno perché mi sembra di sentire maggiormente la presenza e la vicinanza ad un‘entità superiore, sono cristiana ma non praticante alla ricerca di risposte.

 

È un lavoro di ricerca visiva iniziato nel 2018, interrotto causa pandemia e poi ripreso.

Immagini che rappresentano devozione per i santi, idolatria per simboli religiosi, una città che venera Maradona come un Dio, o adotta una capuzzella coltivando un amore mistico per l‘anima di uno sconosciuto.

E Rossella sviluppa questa ricerca su più percorsi le cui sezioni restituiscono l‘insieme: Riflessioni, Devozione, Simboli ed esoterismo, Idoli e credenze.

 

Fotografie con riflessi che fondono i confini del quotidiano con quelli religiosi in atmosfere che si sospendono in un tempo mentale senza tempo.

Devozione, dettagli, campi lunghi, presenze di luci divine. Persone che pregano. C‘è chi in raccoglimento religioso quasi sembra che si sia appisolato nel silenzio di una chiesa.

Ecco: silenzio. Il silenzio è l‘anima portante di queste fotografie. Dove già lo stesso silenzio che ci arriva osservandole, è qualcosa di mistico ed esoterico.

Non sono fotografie prese durante le messe. Sono talvolta scatti rubati. Un reportage sommesso tra esterni e interni.

Perché la religiosità non è posseduta dai confini di una chiesa. La si percepisce anche nelle strade. Tra edicole votive e altarini e murales per venerare Maradona.

Tra sacro e profano.

 

 

 

in Fede | Napoli ricerca fotografica di Rossella Mutone

Art Garage

Viale Bognar 21 Pozzuoli

Inaugurazione Sabato 4 marzo ore 18

Ingresso Libero.

Fino al 17 marzo 2023

Lun > Ven 16,30-20.00 Sabato e Domenica su appuntamento.

Nell‘ambito di FOTOARTinGARAGE VI edizione rassegna di fotografia coordinata da Gianni Biccari.

14.02.2023 # 6212

Marco Maraviglia //

Valeria Sacchetti: “Journey to the lowlands, Fra la via Emilia e il West”

Un libro foto-narrante che documenta la vita quotidiana della bassa padana dopo il terremoto del 2012

Journey to the lowlands, Fra la via Emilia e il West è l‘ultimo libro di Valeria Sacchetti, fotografa che, dall‘inizio del suo interesse per la fotografia, indaga sugli aspetti sociali della gente determinati da eventi politici e naturali.

 

Valeria, nativa di Modena e trasferitasi a Carpi, si avvicinò alla fotografia consultando libri di grandi fotografi nelle biblioteche. E comprese che il mondo andava visto da vicino, non solo attraverso i libri.

Frequentò il suo primo corso di fotografia a Bologna dove imparò anche le tecniche di camera oscura.

 

Il viaggio è una cosa seria e non serve per raccontare com‘era buono il kebab che potevi mangiare in qualsiasi città del mondo. Valeria Sacchetti, nata negli anni ‘70, laureata in storia e insegnante di lettere, ha sempre viaggiato per approfondire l‘inglese e per realizzare servizi fotografici che raccontassero storie vere, a volte misconosciute ai più. Almeno non così dentro come invece raccontano le sue immagini. (Ri)costruendo una memoria destinata a volte a dissolversi nel tempo.

 

Storie che per lei nascono da relazioni, come quando nel 2000 partì per il Cile ed entrò in contatto con una ONG fondata da donne uscite dal carcere dopo la dittatura di Pinochet. Donne che aiutavano donne. Che intraprendevano un lavoro di sindacalizzazione e sensibilizzazione per far prendere coscienza dei propri diritti sul lavoro. Per tutte le lavoratrici: dalle donne che lavoravano in casa, a chi aveva piccole botteghe e quelle che lavoravano nei campi, a rischio per i pesticidi che nel frattempo erano già stati proibiti in altri paesi.

 

Ed è in Cile che realizza il suo primo lavoro, un reportage sugli indiani mapuche.

Ma Valeria Sacchetti ha un‘indole nomade. Le piace spostarsi, viaggiare. Per studio e per lavoro. La fotografia è per lei lo strumento che le consente di conoscere storie, documentarle e raccontarle. Vive lunghi periodi anche in Irlanda, a Napoli, Roma, a Bordeaux per l‘Erasmus, in Messico, Iraq.

Va tre volte in Bosnia dove partecipa e documenta la Marcia della morte di Srebrenica.

A Belgrado realizzò un servizio su un orfanatrofio che era in uno stato pietoso. I bambini non avevano nemmeno le lenzuola, le inservienti si sentivano giustificate dal loro esiguo guadagno prendendo parte degli aiuti che arrivavano in orfanatrofio. Fu un servizio che acquistò la Caritas e la cifra guadagnata le servì per andare a Parigi e frequentare un corso di fotografia di 6 mesi presso la Spéos. Ma a Parigi ci restò per un anno dove lavorò nella compagnia telefonica mentre aspettava la borsa di studio per andare in Messico. Altro viaggio, altre storie fotografiche narranti.

 

Tornata in Italia fece un lavoro, durato cinque anni, sul movimento partigiano di Modena e provincia. Andò a scovare partigiani ancora viventi ritraendoli e facendosi raccontare i loro ricordi. Scattò loro dei ritratti nei luoghi degli episodi raccontati dagli stessi soggetti. E nacque nel 2016 il libro Generazione resistente.


Valeria Sacchetti ha sempre lavorato principalmente con pellicola bianconero e dal 2010, passando al digitale, si è trovata altrettanto a suo agio. Durante un master nel 2017 a Roma entrò n contatto con il fotografo Giancarlo Ceraudo che le consigliò di portare le sue foto a colori in bianconero comprendendo che le foto di Valeria avevano più energia senza colore.

Adesso c‘è questo suo ultimo libro, Journey to the lowlands, Fra la via Emilia e il West che traccia un percorso foto-narrante, come nel suo stile, “coast to coast” della via Emilia. L‘antica strada romana che va da Piacenza a Rimini tagliando trasversalmente in due L‘Emilia Romagna, per intenderci.

Un lavoro durato sette anni. Realizzato in zone percorse da Valeria Sacchetti fin dalla sua infanzia, lì dove sono le sue radici. Una terra dove non c‘è solo mortadella, piadina e tortellini ma che fin dall‘antica Roma è abitata da gente con il culto del lavoro e dei rapporti umani vissuti in maniera gentile, gioviale, condivisa e con umiltà.

Perché capitò che nel maggio 2012 in Pianura Padana ci fu un terremoto che in tanti hanno dimenticato. Furono colpite zone rurali, fattorie, stalle e casali distrutti e la vita di molte persone dedite all‘agricoltura, agli allevamenti e persino industrie, subì danni non indifferenti.

L‘Emilia la rossa, un po‘ contadina, luoghi di campagna. Dove non esistono più le grandi famiglie allargate. L‘Emilia usurpata negli anni anche sotto l‘aspetto industriale e ambientale, subì anche questo affronto di Madre Natura. E Valeria iniziò il suo viaggio narrante, fra “la via Emilia e il West” con fotocamera al seguito.

 

Mi interessava mostrare anche i giovani che sono tornati in campagna. Famiglie che sono anche ibride con immigrazioni dal Sud. Il mio è più un viaggio onirico legato molto ai miei stati d‘animo.

 

Durante la lavorazione, Valeria Sacchetti ha ampliato la visione del suo progetto abbracciando anche tutta “la bassa”, una zona di pianura particolare posta sotto il livello del mare, attraversata da fiumi che tracimano durante il periodo invernale con estati afose e molto umide. Un luogo che le ha sempre ispirato le atmosfere western dei film con cieli sterminati e chilometri di terra piatta.

Il sottotitolo del libro è un tributo a Guccini, originario di queste zone, che ha pubblicato anche un album nel 1984 intitolato appunto: “Fra la Via Emilia e il West”.

Lavorato in varie stagioni dell‘anno. Ha iniziato ritraendo persone che già conosceva e poi allargando la narrazione a quelle incontrate durante le sue esplorazioni creando una trama unica‘ con dieci storie di vita quotidiana di alcune delle persone ritratte.

 

Realizzato grazie a un crowdfunding con Crowdbooks, 46 fotografie tra ritratti e foto attinenti ai paesaggi delle location trattate, 112 pagine al formato verticale 20,5x27 cm, stampa in bianco e nero in  bicromia, copertina rigida.

Disponibile nelle migliori librerie di catena e/o indipendenti oppure sul sito dell‘editore all‘indirizzo: cwbks.co/journey



08.02.2023 # 6207

Marco Maraviglia //

Gli Enigmi di Lino Rusciano in mostra

Inaugurazione sabato 11 febbraio al FotoArt in Garage di Pozzuoli. Le foto tra Metafisica e Surrealismo.

Il comunicato stampa di questa mostra di Lino Rusciano che mi è arrivato, è di sole quattro righe. Ma che nella loro brevità, dicono tutto.

Perché non si necessitano di spiegazioni. La Metafisica alla quale spesso si ispira il fotografo, può essere simbolica, straniante, semplicemente una ricerca di bellezza compositiva dove l‘armonia tra volumi e luci sono il significato stesso delle sue immagini. Memorabili perché inspiegabili. Specialmente quando sono attraversate da tracce di Surrealismo dove la realtà è manipolata nella stessa realtà.

«Ma quella bambola stava proprio in quel punto?», chiesi una volta a Lino guardando una sua foto; mi rispose, «Ho manipolato, c‘era ma l‘ho spostata di qualche metro per inquadrarla nella scena che volevo riprendere». Perché la realtà fosse più reale. Un‘amplificazione del reale che rende il possibile surreale.

 

La ragione può darci la scienza, ma solo l‘irrazionale può darci l‘arte. Dicevano i surrealisti. Qui, nelle foto di Lino Rusciano c‘è un connubio tra Metafisica e Surrealismo.

In esposizione ci sono trenta paesaggi marini del litorale domitio che l‘autore ha ritratto ispirandosi agli enigmi di Giorgio de Chirico. Con l‘unica differenza che gli elementi enigmatici, un materasso in gommapiuma ripiegato, una ghiacciaia da bar dismessa in mezzo la spiaggia, sono lì. Ritratti in fotografia e non dipinti. Elementi di una scenografia creata dall‘incuria dell‘uomo.

Enigmi. Costruzioni fatiscenti, erose dalla salsedine del mare. Strutture balneari viste d‘inverno. E viene in mente quando un ufficiale nazista, vedendo Guernica di Picasso chiese «Avete fatto voi questo orrore Maestro?» e il buon Pablo rispose «No, lo avete fatto voi!».

Ma nell‘orrore umano Lino Rusciano vede bellezza. La estrae in giochi di armonia compositiva, equilibri geometrici, accentuando i chiaroscuri, le ombre, evidenzia con giochi di luce le zone dove andrebbe l‘occhio in percorsi visivi musicali, dosa la vividezza del colore, alcune immagini sono portate in high key.

Un controllo di postproduzione necessario per il suo stile estetico, ormai inconfondibile, che altrimenti gli costerebbe l‘impiego di light designer del cinema per raggiungere gli stessi effetti.

 

La bellezza è armonia, equilibrio e tutto ciò che ti emoziona, la puoi trovare in tutte le cose,

anche quelle più semplici. Fotografare è anche una continua ricerca di essa.

 

Gli Enigmi di Lino Rusciano non fanno il verso ai dipinti di de Chirico. Sono emulazioni, nell‘accezione migliore del termine, espressioni personali che portano alla consapevolezza che la fotografia può e dovrebbe essere arte.

 

Credo che non esista il confine tra arte e fotografia. Infatti, a me interessa ricercare l‘arte tramite il mezzo della fotografia. La sensibilità della percezione individuale rende personale larte di ciascuno, icerco di esprimere la mia ricercandola nel mondo, nello sguardo che l‘obiettivo mi restituisce.

 

Ma adesso basta parole. Gli enigmi non è detto che vadano sempre risolti. Sono lì. Si prova ad addentrarvisi, cercando un perché, una motivazione o essere semplicemente contemplati.

 

Chi è Lino Rusciano

Conseguita la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, studia un anno a medicina. Ma il suo destino era designato verso la fotografia.

Ha una grande passione per gli animali e il suo giardino è abitato da oltre venti gatti.

A otto anni ebbe in regalo tre apparecchi fotografici con i quali cominciò a fotografare.

Appassionato di Man Ray, Bill Brandt, Yves Tanguy, Giorgio de Chirico, Dalì e il Surrealismo che hanno segnato profondamente il suo percorso.

Ha esposto in personali e collettive in tutta Italia.

 

 

 

 

ENIGMI

Fotografie di Lino Rusciano

Inaugurazione: sabato 11 febbraio 2023 alle ore 17:30

Fotoart in Garage – Parco Bognar 21 Pozzuoli Napoli

Coordinamento artistico di Gianni Biccari

L‘esposizione resterà aperta dall‘11 al 24 febbraio con il seguente orario:

tutti i giorni 16.30-20.00 (domenica chiuso)

Ingresso libero

06.02.2023 # 6204

Marco Maraviglia //

Dialogue, Nella Tarantino e Francesco Tadini in mostra alla Casa Museo Spazio Tadini

Fotografie emozionali, contaminazioni artistiche, i protagonisti sono chi le osserva in un dialogo con l‘inconscio


Ph. Francesco Tadini (Looks - Sguardi)


Esistono fabbricatori di sogni? Certo, fanno parte di quella schiera di visionari del mondo artistico e creativo. Tra questi vi sono alcuni fotografi.

Cosa mostra una fotografia? Sogni o realtà? Una realtà ripresa dal fotografo o ciò che percepisce nell‘attimo dello scatto? Ma la realtà che mostra una fotografia è pura, cruda e nuda?

In effetti mostra solo un attimo di ciò che il fotografo ha innanzi a sé ma non il contesto in cui si trova. Perché tutto ciò che è lateralmente o dietro l‘inquadratura non si vede. Si può presumere ma non abbiamo il potere di ricostruire tutto ciò che è al di fuori dell‘inquadratura.

Un bravo fotografo riesce a far percepire anche ciò che ha “visto” emozionalmente in una foto. Anche senza particolari post-produzioni. Ma il fotografo che ruolo ha quando usa un dispositivo fotografico? Deve mostrare ciò che c‘è o ciò che sente? Lasciare l‘intuizione, l‘esplorazione nella lettura di una foto all‘osservatore o raccontare anche usando artifici? E quelle finzioni nella fotografia, fin dove possono spingersi? Finzioni narcisistiche o espressionistiche?

Se la didascalia di un‘immagine è lunga, è probabile che sia meglio che esista un solo testo scritto. Le foto possono raccontare in altro modo. Se si può fare a meno di una didascalia molto descrittiva è perché la foto basta da sé. A volte.

Esistono immagini emozionali che non necessiterebbero nemmeno di un titolo. Icone che da sole sono come emoticon che sanciscono uno spettro più o meno limitato delle emozioni.

A volte per generarle non è sufficiente un semplice scatto. A volte è possibile crearle solo disegnando un‘illustrazione con tavoletta grafica o anche con pastelli, chine, acquerelli e carboncini. Negli ultimi mesi un‘altra opportunità è l‘AI, l‘intelligenza artificiale: immagini generate tramite software che interfaccia testi dell‘autore con banche di immagini algoritmizzate; a volte l‘autore realizza “artigianalmente” più o meno complessi fotomontaggi. Altre volte è il solo modo di riprendere che può generare come risultato un impatto emotivo.

Ph. Nella Tarantino


Nella Tarantino e Francesco Tadini producono immagini che non sono fotografie in senso stretto. Fabbricano visioni oniriche. Tratte dalla realtà.

Tarantino tende a vedere oltre lo scatto fotografico di cui esalta i sapori attraverso chiaroscuri, mossi, limbi, si vede non si vede, i less is more, grana, equilibrio compositivo dei volumi, tipico di chi è architetto come lei lo è… Immagini teatralizzate ma non di teatro. Sospese in un tempo senza tempo, in spazi indefiniti. Dove sono state prese lo decide l‘osservatore perché è a lui che si lascia la possibilità immaginativa per poter percorrere un viaggio mentale associando il proprio background esperienziale all‘osservazione.

 

Francesco Tadini è di formazione artistica, figlio del pittore e scrittore Emilio.

 

Sono cresciuto ascoltando e vedendo mio padre dialogare con pittori, scrittori, giornalisti, filosofi e mi sono reso conto che l‘arte non può prescindere dal confronto.

 

Nelle immagini di Tadini si avvertono note di de Chirico, dell‘Impressionismo e altre contaminazioni artistiche. Note rivisitate e catapultate nel contemporaneo, in un neo-surrealismo fotografico che, anche in questo caso, lasciano all‘osservatore la facoltà di immergersi in ambienti immaginifici senza tempo, non databili.

Tadini scatta con tempi lunghi. Muovendosi lui, durante la posa “B”, muovendo la fotocamera, affinché i soggetti inquadrati restituiscano un dinamismo che ricorda il Futurismo e che spingono l‘osservatore ad esplorare con più attenzione le sue immagini in un gioco di riconoscibilità. E, quando le sue foto sono a colori, i movimenti sinuosi, circolari, ondulanti generati come se avesse una steadicam tra le mani, divengono esplosioni di colore. Una fuga dal buio e dalle paure, attraverso equilibrate pennellate di luce.

 

Ci sono immagini sulle quali l‘occhio si posa oltre i 5”. Alcune di queste restano impresse nella memoria più a lungo tra tante altre ridondanti che si perdono in rete.

Queste di Nella Tarantino e Francesco Tadini si ricordano. Dialogue, entrambi gli autori stimolano un dialogo tra le immagini e l‘inconscio dell‘osservatore.

 

 

 

La mostra è ospitata dalla Casa Museo Spazio Tadini, nato come luogo espositivo e di archivio per arti figurative contemporanee.

Nel corso dell‘inaugurazione ci sarà la presentazione del libro We always return di Nella Tarantino, con Federicapaola Capecchi e Antonio M. Cuono.

Libro recentemente pubblicato da EBS Print.

 

 

 

Dialogue

Nella Tarantino e Francesco Tadini

A cura di Federicapaola Capecchi

Dall‘11 febbraio al 5 marzo 2023

Inaugurazione 11 febbraio ore 18.00

Casa Museo Spazio Tadini

Via Niccolò Jommelli, 24

Milano (MM Loreto e Piola)

 

Apertura senza prenotazione venerdì e sabato dalle 15.30 alle 19.30

Per prenotazioni in altri giorni e fasce orarie melina@spaziotadini.com – visite guidate al museo 10,00 euro

Per contatti stampa Melina Scalise cell. 3664584532


Ph. Nella Tarantino


Foto di copertina: Ligeia, di Francesco Tadini

23.01.2023 # 6200

Marco Maraviglia //

Fotografia artistica Pasquale e Achille Esposito. Un libro per una mostra. Una mostra per un libro

Napoli fin de siècle. Una Napoli rétro alla Certosa e Museo di San Martino

Fino al 19 marzo sarà possibile riscoprire la Napoli di fine ‘800 nella mostra fotografica Napoli ‘fin de siécle‘. Fotografia Artistica Pasquale e Achille Esposito, che raccoglie ed espone in tre sezioni tematiche le opere di Pasquale e Achille Esposito, protagonisti, alla fine dell‘Ottocento, di un‘importante stagione della grande tradizione della fotografia napoletana grazie alla produzione del proprio atelier fotografico commerciale.

 

La mostra in realtà è un‘ampia sintesi del bellissimo libro Napoli ‘fin de siécle‘. Fotografia Artistica Pasquale e Achille Esposito. Un volume che, sfogliandolo e anche il solo leggerne pagine casuali, rimanda a sensazioni extra-sensoriali, coinvolgendo in una macchina del tempo che ci accompagna alla partecipazione di una vita realmente vissuta a Napoli e dintorni. Perché vere sono le immagini con tutta la mimica tipica partenopea: pochissime in posa, poche realizzate in studio. Quasi tutte mostrano una realtà dinamica dove si evincono atmosfere quotidiane ambientate nel paesaggio urbano.

Perché le fotocamere erano più maneggevoli e leggere e i materiali fotosensibili, già dalla fne dell‘800, erano più performanti e non c‘era più bisogno di prendere fotografie con tempi di esposizione lunghi. L‘era degli atelier fotografici con le sedie ferma-testa, volgeva al termine.

Ed era la novità dell‘epoca. Si potrebbe dire che la street-photography nacque proprio con Pasquale e Achille Esposito.

 

La mostra è allestita nella spezieria della Certosa e Museo di San  Martino. L‘idea nasce per valorizzare un fondo fotografico presente nella fototeca storica del museo e segue quella su Alphonse Bernoud, allestita nello stesso spazio nel 2018.

C‘è da dire che il primo libro sulla storia di Napoli attraverso la fotografia, risale al 1981: Immagine e città di Napoli di Mariantonietta Picone. Napoli ‘fin de siécle‘ nasce dal desiderio dei curatori di voler implementare, far crescere la documentazione bibliografica, restando in tema.

 

Di Pasquale Esposito e Achille (il figlio) era nota la loro attività professionale a Napoli ma nulla si conosceva della loro biografia. Molte foto che realizzarono riportano la dicitura “fotografia artistica” oltre al loro nome. Erano particolarmente operativi nel campo della riproduzione d‘arte tanto da definirsi “i fotografi del Museo Nazionale” (oggi MANN).

La mostra si sviluppa su tre filoni fotografici: scene di strada e costumi popolari, vedute (di Napoli e dintorni come Capri, Amalfi, Sorrento, Pompei, Pozzuoli) e, come già scritto, documentazione di opere d‘arte.

 

Si evince dalle stampe all‘albumina appartenenti a vari fondi fotografici pubblici e privati, che Pasquale Esposito (1842-1917) è stato il più attivo in termini di produzione. Anche perché il figlio Achille visse solo 33 anni (1868-1901).

Si sapeva solo dell‘esistenza del lavoro prodotto dagli Esposito, padre e figlio, alcune immagini della loro produzione sono state riconosciute dagli stessi curatori andando a scavare fototeche pubbliche e fondi di collezionisti privati. È un lavoro di ricerca che non si improvvisa. Si fanno verifiche incrociate con gli stili estetici dei fotografi dello stesso periodo. Si consultano archivi, pubblicazioni e testimonianze giornalistiche dell‘epoca.

Infatti, un punto di partenza illuminante che ha dato la possibilità di tracciare alcune notizie biografiche di Pasquale e Achille, è stato una nota presente in un album del saggista e illustratore Gennaro D‘Amato: Raccolta di Fotografie di NAPOLI del 1800. Album che fu donato da D‘Amato alla Biblioteca Nazionale e giunto poi nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. E questo album è esposto in una teca aperto proprio alla pagina della “nota illuminante”.

 

Non vi racconto cosa è scritto in questa nota perché un po‘ di curiosità per visitare questa mostra voglio lasciarvela.

Posso però dire che grazie a quella nota i curatori hanno iniziato a fare ricerche in vari archivi storici tra cui quelli dell‘Accademia di Belle Arti di Napoli, visto che si citava Achille Esposito come pittore.

 

Se pur siano stati i pionieri della fotografia di strada, il loro vedutismo calcava gli standard dell‘epoca. Ma ebbero la fortuna di attraversare un periodo tecnologico in cui si perfezionavano i procedimenti fotomeccanici per la stampa e la nascita delle prime cartoline turistiche agli inizi del ‘900. Anche a colori, preventivamente colorate a mano.

E con le cartoline inizia la produzione di riviste e libri destinati al turismo. Interessante vedere in esposizione una guida turistica di Pompei in inglese dove all‘interno vi sono venti stampe fotografiche originali all‘albumina. Ma purtroppo non si sa quante copie ne furono prodotte.

In quel periodo si determinò un po‘ la fine del Grand Tour. Non più gouache ma fotografie.

La nascita della fotografia fu inizialmente una dannazione per i pittori, ma poi ci si rese conto che poteva essere un mezzo utile per riprodurre scene senza dover necessariamente stare sul posto. O quando serviva a un incisore una scena da riprodurre fotomeccanicamente e riadattava la fotografia secondo il proprio stile compositivo: in esposizione una pagina di L‘Illustration dove è presente l‘incisione a stampa di una visita sul Vesuvio tratta da una foto degli Esposito.

 

In fondo, in uno spazio buio della spezieria, poggiate su un cubo luminoso realizzato dall‘artista Michele Iodice, vi sono quarantanove lastre fotografiche dell‘Archivio Parisio. Da osservare, attentamente, codificare mentalmente in positivo e scoprire infiniti dettagli affascinanti come la nodosa staccionata della villa Krupp che affaccia sui Faraglioni di Capri, il carattere dell‘insegna dell‘Hotel Vittoria che è lo stesso di oggi e i “com‘era all‘epoca rispetto ad oggi”.

Tante le chicche e sorprese. In mostra molti spunti che inducono a riflessioni, curiosità da approfondire, dettagli di una Napoli nel pieno della sua Belle Époque tra popolo e borghesia, tra divulgazione archeologica e turistica, lavori in strada, tra passeggiate sul Vesuvio e scugnizzi a Mergellina che ricordano il Pescatorello di Vincenzo Gemito.

Tanta roba. Non solo un tuffo nel passato, ma proprio una profonda immersione.

 

Insomma, per appassionati della Napoli rétro, per i filologi della cultura urbanistica e popolare, per i fotografi amanti dell‘albumina o per gli street-photographer, per chi si occupa di comunicazione turistica… ecco a voi una bella operazione su Napoli dalle mille e una curiosità. Una sola raccomandazione: non guardate solo le foto, si suggerisce di leggere i pannelli descrittivi che comunque sono una sintesi del preziosissimo libro.

 

Si ringrazia Fabio Speranza per il tempo dedicatomi il 19 gennaio durante una chiacchierata allinterno della spezieria per raccontarmi la mostra.

 

Foto di copertina: Pasquale e Achille Esposito, Calessi per il trasporto passeggeri presso Porta Capuana, Napoli, collezione Giulio Amodio

 

Napoli “fin de siécle”. Fotografia Artistica Pasquale e Achille Esposito

A cura di Giovanni Fanelli e Fabio Speranza

Certosa e Museo di San Martino – Sala della Spezieria

Dal 17 dicembre 2022 al 19 marzo 2023

Orari:

(escluso mercoledì) 8.30 – 17.00; chiusura biglietteria ore 16.00

 

Il libro è acquistabile nelle principali librerie e anche alla biglietteria del museo.

 

Info:

Ufficio Promozione, Comunicazione e Stampa – Direzione regionale Musei Campania +39 081 2294478 - drm-cam.comunicazione@cultura.gov.it

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