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16.12.2021 # 5855

Marco Maraviglia //

David LaChapelle, il maestro della Pop Art della fotografia in mostra a Napoli

Una collezione esclusiva ed unica, studiata appositamente per la città e per il Maschio Angioino. Con alcune opere inedite

Un ragazzo giace in una discarica. Come cascato  dall’alto, su un ammasso di RAEE. È un angelo? È Icaro. Le sue ali sono spezzate e spiumate. Tanta tecnologia “grigia” sotto di lui, è inerte. Obsoleta. Distrutta. Inutile. Computer che in un’era precedente illudevano al miglioramento della vita, facevano pensare all’immunità intellettiva dell’uomo. A un mondo migliore perché globalizzato dalla iperconnessione. Monitor, case di computer, tastiere senza più vita che rappresentano un consumismo spesso inutile. Perché macchine usate per bighellonare sui social o per ambire a diventare influencer o per essere un semplice utente passivo.

Icarus (questo il titolo della foto), si è avvicinato troppo verso quel sole digitale, verso quei byte. Cercava probabilmente di volare troppo alto, oltre quel labirinto ipertecnologico. Bruciando la propria vita nell’iperinformazione della rete. Nella saturazione ed implosione dei dati. Scontrando i propri neuroni col codice binario. Non ce l’ha fatta.

 

Questa appena descritta è la prima foto che si incontra all’inizio del percorso della mostra di David LaChapelle.

Poi si attraversa una sequenza di immagini che andrebbero viste ascoltando a palla nella mente Heroes di David Bowie, Walk On The Wild Side di Lou Reed o anche We are the champions di Freddie Mercury.

Perché di sognatori e incubi dell’immaginario umano si parla in queste fotografie. Dei fallimenti dell’umanità provocati dall’uomo stesso. Di mondi apocalittici, disastri naturali e biblici. Di post umanità. Architetture sociali costruite sul profitto e sugli inevitabili vizi capitali. Immagini di eccellente composizione, che fanno di LaChapelle un indiscutibile maestro della Staged Photography, in cui trapelano rigurgiti di rinascita o di moniti dove la religione sembra assumere connotati blasfemi ma non è altro che una sua rivisitazione contemporanea in chiave Pop Art.

Perché David LaChapelle è anche il principale riferimento della Pop Art nel panorama della fotografia internazionale. Non a caso battezzato proprio da Andy Warhol che, a soli 17 anni, gli commissionò un servizio fotografico per Interview Magazine. E da allora il volo. Anno dopo anno si è affermato nello spettacolo, nella moda, nella pubblicità e nella musica.

Colori sgargianti, un neo-Barocco iconografico allestito con un’infinità di dettagli allegorici che rendono navigabili a lungo le sue foto, con gli occhi. Per esplorarle e cercare di scoprire quei messaggi di probabile denuncia o semplicemente realizzate per comunicarci il mondo oggi come sarà. O come lo è già. Un futuro presente plausibile, possibilistico, avveniristico. Strizzando l’occhio a Michelangelo che pure ci ha lasciato nella Cappella Sistina messaggi in parte decifrati o riabilitati solo nei tempi più recenti (rif. I segreti della Sistina, il messaggio proibito di Michelangelo; Roy Doliner e Benjamin Blech).

Deluge (2007), è il Diluvio universale di LaChapelle, ambientato a Las Vegas, dove i simboli consumistici in esso contenuti, sembra che abbiano contribuito allo scatenarsi dell’ira dall’alto.

 

Tra Pop e Pulp, David LaChapelle invita i visitatori a ripercorrere i momenti salienti della sua prolifica carriera presentando quaranta pezzi tratti dai periodi più significativi - dal 1980 fino ad oggi - offrendo anche una selezione di opere inedite in anteprima per Napoli, provenienti dal suo archivio.

Nessuna gigantografia, che avrebbe giustificato la cifra artistica di LaChapelle, ma immagini direttamente appuntate con chiodi per volontà stessa dell’artista che vuole far sentire il pubblico come se lo ospitasse nel proprio atelier alle Hawaii. Con modestia. Senza immolarsi a idolo. Reminiscenze maturate evidentemente dalle sue frequentazioni alla Factory di Warhol, dove artisti e aspiranti comparse viaggiavano sullo stesso livello.

 

In mostra vi sono inoltre alcune opere tratte dalle vivide e coinvolgenti serie Land SCAPE (2013) e Gas (2013), progetti di natura morta in cui LaChapelle assembla found objects per creare raffinerie di petrolio e stazioni di servizio, prima di presentarle come reliquie in una terra reclamata dalla natura.

 

Infine, in esclusiva per la Cappella Palatina, alcune trasparenze tratte da negativi fotografici, dipinti a mano realizzati negli anni ’80, di quando l'artista adolescente esplorava le idee della metafisica e della perdita, sullo sfondo della devastante epidemia dell’AIDS. Installazione site specific in esclusiva per questa mostra mai realizzata prima, in dialogo con le opere più recenti di LaChapelle in cui il fotografo viene come catturato da un timore reverenziale per il sublime e dalla ricerca di spiritualità. Come si può vedere in Behold (2017), l’opera utilizzata come immagine portante della mostra stessa.

 

LaChapelle, nella Cappella Palatina, un nome, un programma.

 

 

 

David LaChapelle

A cura di Vittoria Mainoldi e Mario Martin Pareja

Dall’8 dicembre 2021 al 6 marzo 2022

MASCHIO ANGIOINO (Castel Nuovo)

Cappella Palatina

Via Vittorio Emanuele III, Napoli

 

La mostra nel mese di dicembre sarà aperta nei seguenti orari

Da LUNEDÍ a SABATO: 9 – 18.30

DOMENICHE e FESTIVI: 9 – 14.00

Ultimo ingresso consentito in mostra un’ora prima dell’orario di chiusura.

 

Prezzi biglietti:

Intero: 14 €

Ridotto generico (over 65, under 12, partner convenzionati, studenti universitari): 12 € Ridotto gruppi/cral (minimo 15 persone): 10 €

Ridotto scuole (minimo 15 alunni): 10 euro

Ridotto studenti di Beni Culturali, Storia dell’Arte, Istituti e Accademie di Belle Arti: 8 euro

I bambini al di sotto dei 6 anni entrano gratuitamente.

 

Una produzione Next Exhibition, organizzata in collaborazione con l’Assessorato  alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, Associazione Culturale Dreams, Alta Classe Lab, Fast Forward e Next Event.

06.12.2021 # 5849

Marco Maraviglia //

Claudia Rocchini, la ritrattista degli animali, espone nella rassegna Animal Emotion

Nella suggestiva location di Mondofo, la mostra che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte

Chi è Claudia Rocchini

È giornalista e fotografa professionista con esperienze allargate anche nel campo del marketing e comunicazione intraprese con grandi enti.

Per otto anni ha lavorato con Editrice Reflex: facendo interviste, gestendo rubriche e come Social Media Manager.

Docente di fotografia per grandi aziende e da oltre dieci anni tiene corsi di fotografia naturalistica in Parchi faunistici dedicati alla protezione e al recupero di specie a rischio di estinzione.

Nel 2014 pubblica per Rizzoli "I segreti dell'Oasi", (200 fotografie, 240 pagine) con prefazione di Ermanno Olmi.

Gli scatti realizzati a Vito, gatto con protesi alle zampe posteriori, sono stati ripresi dalla stampa di tutto il mondo, diventando nel 2020 la copertina del libro "Vito il gatto bionico" - Il Battello a Vapore, Mondadori Libri.

Specializzata in avifauna in volo e in ritrattistica, felina e non.

 

Non sono giocattoli

«Non sono giocattoli!» è il monito che alcuni genitori illuminati fanno ai propri figli quando desiderano un cane o un gatto o notano che ci giocano in maniera non appropriata.

Non sono giocattoli ma fanno parte della famiglia che li adotta. A volte sembra che siano loro il fulcro, l’anima della casa. Ci osservano, si avvicinano in cerca di una carezza o un grattino, emettono a volte guaiti spaventandoci, accorriamo da loro trovandoli accanto al loro cencio preferito perché vogliono condividere un po’ di gioco insieme. Hanno un’aurea che gli umani più affezionati percepiscono; mentre camminano è come se lasciassero una scia di polvere magica e invisibile che diffonde amore, benessere. Se stiamo male o semplicemente preoccupati, depressi, infelici, diventano la nostra ombra o si accucciano sulle gambe. Perché ascoltano le energie.

Non sono giocattoli. E, quando entrano nelle nostre case, divengono un patrimonio affettivo di cui non si può più rinunciare.

 

Da bimbi ci insegnano a riconoscere gli animali, i loro versi, ci raccontano favole con animali protagonisti, i cartoni animati stessi ci accompagnano nell’infanzia. E poi a scuola, parte della didattica è basata sull’insegnamento della vita animale. É del tutto naturale l’amore per loro: cresce insieme a noi.

- C. R.

 

La presenza degli animali nella storia è tracciata da testimonianze fotografiche e opere d’arte. Matisse immortalato nello studio con le sue colombe bianche da H. C. Bresson. Patty Smith ritratta da Robert Mapplethorpe col suo “tuxedo cat” (gatto in smoking, così li chiamano in Inghilterra i gatti con i “calzini” bianchi). E poi ancora Hermann Hesse, Dalì, Freddie Mercury, Karl Lagerfeld, Picasso, Klimt, Andy Warhol e tantissimi altri personaggi hanno condiviso parte della loro vita con un cane o un gatto lasciando un universo iconografico non sempre qualitativamente soddisfacente perché spesso si tratta di istantanee, foto casuali che purtroppo non rendono onore, ritrattisticamente parlando, a quei momenti intimi.

 

Animal Emotion

La pittura ci ha tramandato ulteriori testimonianze della presenza di animali domestici, che ci restituiscono atmosfere goliardiche, o romantiche, allegoriche ecc. Dalle civiltà più antiche, come quella egiziana in cui il gatto era particolarmente venerato, o i mosaici pompeiani, fino a giungere ai giorni nostri, si nota come cani e gatti siano parte non sempre marginale nella vita umana e quindi nell’arte.

 

Il progetto espositivo ANIMAL EMOTION, accoglie un evento unico nel suo genere che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte.

La mostra “trasforma” lo storico Complesso Monumentale di S. Agostino, nel cuore del borgo di Mondolfo, in un ideale “zoo artistico” che consente al visitatore di comprendere come l'animale abbia da sempre avuto un ruolo fondamentale nella grande pittura antica e nel vissuto umano quotidiano.

Divisa in tre sezioni, c’è quella con le fotografie di Claudia Rocchini.

 

Le fotografie di Claudia Rocchini. Tanta psicologia ed empatia

Ritrarre cani e gatti è forse il tipo di specializzazione fotografica più difficile. Perché questi individui pelosi non si mettono in posa a comando. Si muovono rapidamente, sono imprevedibili davanti all’obiettivo, non sono loro a dover capire qual è l’aspetto che devono mostrare mettendosi in posa, ma devi essere tu fotografo a coglierne la personalità. Che è diversa per ognuno.

Bisogna essere un po’ animali dentro, nell’accezione migliore del termine, per entrare in sintonia con loro. Leggende su San Francesco, che aveva il dono di essere “sentito” dagli animali, non è una roba poi tanto mistica. Perché esistono umani che riescono a stabilire una forte empatia con gli animali, senza assoggettarli, inserendosi con rispetto sulla loro stessa lunghezza d’onda.

Claudia Rocchini realizza shooting fotografici che durano non meno di due ore. Gli umani che le chiedono di ritrarre i loro amici pelosi, sanno che il risultato sarà sempre ineccepibile per quel suo modo di rapportarsi. Quel suo sesto senso del tipo “vedo animali che parlano”, ribaltando la famosa frase del cult movie con Bruce Willis.

Claudia non lascia cadere dalle braccia dell’umano un cagnolino per dare l’idea che salti come in una famosa foto di Elliott Erwitt, attende che qualcosa accada. Per catturare l’attenzione su di sé, a volte miagola o abbaia. Talvolta abbraccia il cane da ritrarre e gli sussurra dolcemente all’orecchio trasmettendogli serenità, complicità. Un po’ come Robert Redford in “l’uomo che sussurrava ai cavalli” che fece tornare Pilgrim il cavallo che era stato prima dell’incidente.

 

Tengo corsi di pet photography mentoring, one to one, in video call. … I corsi sono basati su una parola chiave: consapevolezza. …  Si tratta di mettere in pratica un mix di competenze tecniche di ripresa, di osservazione e conoscenza del comportamento dell’animale per poterne capire l’umore e prevederne i movimenti. É inoltre fondamentale imparare a sviluppare la nostra intelligenza emotiva in ogni declinazione delle sue abilità cioè la capacità di riconoscere, distinguere, etichettare e gestire le emozioni del soggetto animale che abbiamo di fronte.
L’obiettivo è utilizzare la fotografia come strumento di rivelazione delle personalità, per fotografare non solo ciò che si vede, ma principalmente ciò che si “sente”.

- C. R.

 

La tecnica di Claudia Rocchini
Non usa flash per non arrecare disturbo ai soggetti, solo luci continue con tre o cinque soft box e una giraffa. Scatta a raffica. Si accorge subito se l’animale è stressato e, in tal caso, sospende per un po’ la seduta. A volte chiede al “papà” umano di entrare sul set per abbracciare il suo amico per tranquillizzarlo, ma approfitta per tirare alcuni scatti che risultano intensi, intimi.

Sul sito di Claudia Rocchini ci sono testimonianze strepitose di allevatori, veterinari, privati che descrivono in maniera entusiasta il suo modo di lavorare e la soddisfazione dei risultati raggiunti delle immagini scattate ai loro cani e gatti.

 

Qualsiasi foto che presento al cliente deve riflettere la personalità del soggetto, scatto solo se c’è quel particolare emotivo che rende l’animale non solo un gatto o un cane qualsiasi, ma QUEL gatto e QUEL cane che l’umano riconoscerà come suo. Cerco un mix di pose classiche e giocose, il cliente di solito quando visiona i provini ha l’imbarazzo della scelta. Sono anche solita fare vedere gli scatti che non ho scelto perché magari ce n’è qualcuno con una posa o un’espressione tipica dell’animale cui il cliente è particolarmente affezionato, e che io non posso conoscere, perché non è il mio animale.

 

 

 


Claudia Rocchini 


ANIMAL EMOTION, il mondo animale tra arte, recupero e vita

Mondolfo, Complesso Monumentale S. Agostino

19 Dicembre 2021 – 16 Gennaio 2022

 

Comune di Mondolfo

Ufficio Cultura

Tel. 0721.939218

cultura@comune.mondolfo.pu.it

PAM – Pro Arte Mondolfo

info@proartemondolfo.com

Ufficio stampa

Maria Chiara Salvanelli Press Office & Communication

mariachiara@salvanelli.it

+39 333 4580190

26.11.2021 # 5843

Marco Maraviglia //

Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Un viaggio di amicizia durato sette anni in cui il mondo di dentro e quello fuori si interconnettono scambiandosi punti di vista

Chi è Fabio Moscatelli

Classe 1974. Nato a Roma dove si è diplomato presso la Scuola Romana di Fotografia. Approda alla fotografia grazie all’entusiasmo e la passione trasmessogli da una ragazza che è poi diventata sua moglie. Attraversa la “fase dei rullini”, quella della fotografia analogica, per poi giungere al digitale. I suoi progetti fotografici sono quasi tutti a lungo termine. Approfondisce il lato emozionale nei suoi lavori in cui si evince un tempo dilatato e intimo nelle immagini stesse e con linguaggi visivi articolati, senza canoni e stili specifici.

Ha realizzato dei libri a tirature limitate.

Attualmente è impegnato con un racconto sulle attività agricole nelle zone terremotate del Centro Italia.

 

Gioele e l’autismo

Gioele vive un quotidiano straordinario, una normalità atipica. Ma chi ha stabilito cosa sia realmente la normalità? Gioele per certi versi è molto più normale, rispetto al senso che noi attribuiamo a questo termine. Non ha filtri, niente sovrastrutture condizionanti, non è falso e non conosce ipocrisia. È un essere puro.

I bambini ci stupiscono per la loro spontaneità, per il loro spirito di osservazione che molti adulti hanno perso nel tempo.

Quali sono i passaggi dalla fanciullezza all’adolescenza alla fase adulta? Regole, dogmi sociali, ruoli, step di crescita standard che fanno di ogni individuo una pedina confusa tra tante, consapevole di diritti e rispettosa di doveri. Chi si ribella, chi va in controtendenza, chi ha una mente borderline, secondo la società convenzionale è un folle . E non a caso vi sono persone che col loro pensiero trasversale divengono artisti, geni o eretici del mondo sociale fatto a scacchi. Quel mondo a gabbie inscatolate tra loro, interconnesse, come una figura impossibile, che lascia pochi spiragli a un pensiero diverso fatto anche di intuizioni, casualità e “concentrazione laterale” che non raramente portano a innovazioni.

Non si possono non citare persone che stavano in parte nello spettro dell’autismo come Michelangelo Buonarroti, Andy Warhol, Mozart, George Orwell, Stephen Wiltshire (vivente, quello che memorizza vasti paesaggi urbani da un elicottero e li riproduce disegnandoli) e altri ancora con caratteristiche mnemoniche spettacolari e che fanno comprendere quanto la programmazione del nostro cervello sia imprevedibile o spesso limitata e probabilmente condizionata da input culturali o altri ancora forse non del tutto noti.

 

La complicità di un’amicizia lunga sette anni

Parole o frasi ripetute, mancanza di attenzione, opporsi a richieste, sottrarsi allo sguardo, sembrano anaffettivi, incapaci di condividere emozioni, difficilmente si relazionano con i “normodotati”, camminano a vuoto come se stessero pensando un mondo a noi ignoto. Tutto ciò rende affascinante il riuscire ad entrare in contatto con loro attraverso una conquista reciproca. Come Tom Cruise che scopre poco a poco le qualità del fratello Dustin Hoffman in Rain man. Si tratta probabilmente di riuscire ad afferrare il senso della loro concentrazione laterale, quella che sembra senza senso ma invece rivelatrice di punti di vista diversi, lontani dalle nostre occlusioni mentali. La conquista avviene per complicità, per intesa, per credibilità. Mai per insistenza gratuita. Ma spogliandosi dai pregiudizi e planare su un’onda che può portare in luoghi dell’anima inesplorati.

 

La difficoltà di costruire un rapporto all'inizio non è stata dettata dalla condizione di Gioele, ma dalla differenza di età; non è semplice per molti bambini rapportarsi con un adulto.

 

Fabio Moscatelli incontra in un parco giochi Gioele quando aveva 10 anni. Oggi ne ha appena compiuti 18.

Da subito Fabio volle entrare in contatto col mondo di Gioele. Andava a trovarlo a casa, dopo aver conosciuto i genitori che lo accolsero, ma Gioele restava chiuso nella sua stanza. Syria, la figlia di Fabio, fu la pietra miliare per l’avvicinamento. Il punto di svolta di quel rapporto tra Fabio e Gioele che tutt’oggi dura.

E iniziò la collaborazione.

 

Un progetto lungo 7 anni…

Le modalità operative sono state molto spontanee. Senza un vero e proprio programma definito. Un canovaccio in cui le situazioni fotografate sono frutto del tempo trascorso insieme. Situazioni che si venivano a creare in maniera naturale. Come attori che improvvisano ogni volta su set diversi, conoscendo ognuno la propria parte e talvolta scambiandosi i ruoli.

 

Ho imparato tantissimo da questo percorso, sono migliorato come uomo, come padre; Gioele mi ha ricordato il valore delle cose semplici, la bellezza del nostro quotidiano e dei gesti semplici. Anche andare a mangiare una pizza ora è una festa, una gioia da condividere.

 

In questo lavoro di scambio Gioele impara ad usare la fotocamera regolando in manuale l’esposizione e inquadrando ciò che più lo cattura dall’esterno: per lo più dettagli, quelli che normalmente ci passano inosservati o che sembrano non meritare la nostra attenzione. È il mondo che Gioele ci restituisce, con poesia, dolcezza e un’ironia che quasi sembra voler dirci «ehi voi, ma che cose strane che fate!».

Le immagini di Fabio Moscatelli narrano alcuni momenti di questo intimo e amichevole sodalizio. Con altrettanta poesia e rispetto. Con la discrezione di un angelo invisibile che osserva e ascolta con attenzione la sua anima da guidare e amare.

 

La mostra, dove saranno esposti anche alcuni disegni di Gioele, purtroppo dura solo tre giorni ma alcune immagini resteranno nello spazio ospitante per molto tempo e Fabio e Gioele sono felicissimi di poter lasciare una traccia del loro passaggio.

Per Natale sarà pubblicato il libro Gioele – Il Mondo Fuori, curato da Der Lab, lo studio di Irene Alison, con una tiratura di 500 copie. Con testi di Irene Alison e del critico Simone Azzoni.

 

In un pomeriggio ancora caldo di fine agosto, nel parco giochi semideserto, ti ho visto. Gioele, un bambino come tanti, magari un po’ cresciuto per lo scivolo e l’altalena, un sorriso furbetto in faccia. Da quel giorno ha avuto inizio la nostra amicizia e il mio dialogo  con l’autismo, quella strana presenza che ti abita. Da quel giorno sei cresciuto, ti sei aperto a me e alla mia famiglia, sei diventato un prezioso compagno di giochi per mia figlia Syria ma, soprattutto, sei diventato ispirazione e co-autore  di questo progetto.

 

 

Gioele – Mostra fotografica

La mostra Gioele fa parte di DEDALI, il programma delle Industrie Fluviali realizzato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

 

Dettagli

 

Inizio:

1 Dicembre | 18:00

Fine:

3 Dicembre | 23:00

 

Organizzatore

 

Industrie Fluviali

Via del Porto Fluviale 35 - Roma

Telefono: 06 56557732

Email: info@industriefluviali.it

19.11.2021 # 5841

Marco Maraviglia //

Come ti interpreto la citazione. Frasi epiche di fotografi, intorno alla fotografia, rilette e un po’ smontate.

Rileggendo le citazioni d’autore, sono ancora tutte attuali? O qualcosa andrebbe riadattato e smentito?

Giovani fotografi che citano frasi famose di fotografi come se fossero Fede assoluta. Diventano claim, slogan ad effetto piazzati nelle home dei propri siti WEB o postate sui propri profili social. Una citazione non può però essere una filosofia di vita professionale assoluta, ma soltanto un omaggio al fotografo che si ama. O uno tra i tanti punti di riferimento. Come vette di monti che sono comunque interconnessi tra loro da colline, valli, laghi, fiumi.

E comunque ogni citazione andrebbe contestualizzata nel suo periodo storico. Perché cambiano le tecnologie, cambiano gli uomini, cambiano i linguaggi visivi.

Proviamo a riflettere un po’ su alcune di tali citazioni…

 

 

Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene – Ansel Adams

 

Immaginiamo un giornale con notizie fatte di sole foto e senza nemmeno le didascalie. Riusciremmo ad estrapolare da esse le informazioni relative alle 5W giornalistiche?


What – Che cosa
Who – Chi
Where – Dove
When – Quando
Why– Perché

Sono le cinque domande che un giornalista deve soddisfare, per un normale articolo contenendo le risposte.

Da un giornale solo iconografico forse riusciremmo ad avere una o due informazioni se avessimo conoscenze pregresse di un fatto. Se conoscessimo il luogo in cui è stata presa una foto o conoscessimo il personaggio ritratto, potremmo dire che si tratta di “Mr. Smith ripreso a Portobello Road”. Il who e il where quindi, ma cosa, perché e quando era lì Mr. Smith non potremmo saperlo.

La citazione di Ansel Adams non funzionerebbe nemmeno per una gran quantità di fotografie concettuali. O artistiche, volendo. Perché non tutti possono avere gli strumenti culturali o un background esperienziale vasto che consente di comprendere immagini più complesse rispetto a un semplice paesaggio. E allora abbiamo immagini che sono accompagnate da testi di curatori, critici o da sinossi scritti di pugno dall’autore stesso che ci servono a comprenderle. Insomma, qualche “barzelletta” andrebbe spiegata.

 

Fotografare è mettere sulla stessa mira, testa, occhio e il cuore – Henri Cartier-Bresson

 

Siamo convinti di ciò che disse il mitico Bresson? La citazione tra le più famose di tutte può considerarsi completa? Assoluta? Verbo? Proviamo a interpretarla?

In realtà per fotografare occorre avere una certa sensibilità emozionale e percezione. Caratteristiche che, per svilupparle, necessitano di allenamento, esperienza, coscienza di sé, conoscenza. Il fotografo potrebbe trovarsi in una situazione nuova per lui e le foto che scatterebbe non rappresenterebbero al meglio il contesto. La “testa” dovrebbe rappresentare il bagaglio di competenze che si hanno relativamente al contesto che si fotografa. Se ci viene chiesto di fare foto di scena per uno spettacolo teatrale ma non conosciamo la trama della storia, le battute o scene più importanti, gli attori, le pause, le luci, probabilmente faremmo delle foto tecnicamente buone ma non belle. Specie se prese senza “cuore” che credo Bresson si riferisse molto probabilmente alla passione e alla cura nel fotografare.

E comunque solo la vista, “l’occhio”, tra i cinque sensi a volte non è sempre sufficiente: udito e olfatto possono stimolare infatti la nostra percezione facendoci dirigere l’occhio verso una determinata scena da inquadrare. L’olfatto ci guiderebbe dietro il vicolo in un’isola greca e con sorpresa ci farebbe trovare un delizioso ristorantino da fotografare: dallo chef ai piatti che cucina.

 

La parte più importante di una macchina fotografica sta dietro ad essa  – Ansel Adams

 

Torniamo all’ottimo Adams che conferma quanto già scritto sopra riguardo la citazione di Bresson: senza testa e cuore che viaggiano in tandem, l’occhio non basta. L’obiettivo e quindi l’occhio vede ma non osserva. Inquadra, taglia, sceglie cosa deve entrare nelle due dimensioni dell’immagine, compone bilanciando i pesi delle luci, ombre, colori, seguendo l’armonia e il ritmo di linee, volumi, spazi. Da solo l’occhio potrebbe restituire solo immagini virtuose sotto il profilo estetico-geometrico ma prive di significati più intensi.

Ciò che c’è dietro una macchina fotografica è la parte più importante: la testa!!! In essa vi è contenuta tutta l’esperienza del fotografo non solo professionale ma anche umana. Il suo vissuto, le persone che ha incontrato, i viaggi “lenti” e non mordi e fuggi, gli studi seguiti, i libri letti, i film visti… tutto materiale invisibile  attraverso il quale ha formato la sua personalità. Tutto l’immateriale della cultura personale che genera inevitabilmente un pensiero che si proietta sulle immagini che realizza.

 

Se le tue foto non sono abbastanza belle, è perché non sei abbastanza vicino  – Robert Capa

 

Probabilmente il “fotografo di guerra” Capa si riferiva, rispetto a quel "abbastanza vicino", allo stare nell’azione di un evento in maniera ravvicinata. Ma essere vicino al soggetto da riprendere non significa necessariamente stare dentro la scena. La vicinanza può essere anche soltanto emotiva e usare magari anche un teleobiettivo per avvicinarsi al soggetto da riprendere. Non c’è bisogno di fare un primo piano alla barba di un tuareg nel deserto o riprendere l’ugola di un soprano per fare un ritratto, ma occorre conoscere a fondo le caratteristiche del soggetto che fotografiamo. Essere vicini inteso quindi non necessariamente in termini di distanza fisica, almeno non solo, ma avere una maggiore conoscenza e sensibilità verso quel che si riprende. In una parola: empatia.

 

L’abilità nella fotografia si acquisisce con la pratica, non con l’acquisto  – Peter Lindbergh

 

È chiaro che se non acquisti una fotocamera non puoi essere un abile fotografo perché non hai lo strumento per diventarlo con la pratica. Però acquistando costose attrezzature non ci consente di diventare abili fotografi.

Anche acquistare costosi software di postproduzione non ci rende abili, utilizzandoli. Perché occorrono anni per imparare a utilizzarli facendo appunto pratica.

Ma l’acquisto potrebbe essere riferito anche a corsi, seminari, webinar, workshop e quant’altro di fotografia. Indispensabili per ampliare le proprie conoscenze tecniche di fotografo e senza le quali i tempi della pratica per acquisire abilità, si allungherebbero. Perché nei suddetti incontri c’è sempre uno o più professionisti che oltre alla tecnica trasferiscono ai propri allievi esperienze di cui fare tesoro. Accelerandone la pratica per transfert.

Il fatto è che, anche dopo aver studiato a lungo la fotografia “acquistando esperienze”, occorre fare sempre pratica. Perché non si smetterà mai di imparare.

 

L’importante è vedere ciò che è invisibile agli altri  – Steve McCurry

 

Esiste qualcosa che può essere invisibile ad altri? Perché? Ma il fotografo deve semplicemente vedere ciò che è invisibile ad altri o deve avere anche l’abilità di mostrare a questi ciò che non vedono?

C’è una differenza sostanziale tra guardare e osservare. Fotografi, scrittori di romanzi, registi, grafici, artisti visuali sono allenati a osservare. Guardare e porsi domande su ciò che vedono. Sono abituati ad entrare emozionalmente dentro la scena, riescono a sezionarne tutti i suoi elementi individuando il punto di massimo interesse che potrebbe essere invisibile o non individuabile al primo impatto alla maggior parte delle persone. Perché a volte c’è rumore visivo che distrae. Il fotografo è come un musicista, o un tecnico del suono, che filtra suoni e rumori di fondo, note stonate per restituire la massima purezza di un pezzo musicale.

Non basta vedere ciò che è invisibile agli altri, occorre riuscire a sintetizzarlo nella foto per mostrarlo a chi fruirà di quella foto.

A volte è indispensabile anche un certo tipo di postproduzione per esaltare ciò che si vuole mostrare. E questo McCurry lo sa bene preferendo la saturazione dei colori.

 

La fotografia, come tutti sappiamo, non è affatto reale. È un’illusione della realtà con cui creiamo il nostro mondo privato  – Arnold Newman

 

Già nel momento in cui inquadriamo una scena, limitata da quattro lati e inevitabilmente annullando la terza dimensione, stiamo alterando la realtà. Non mostriamo tutto ciò che c’è intorno alla finestra che abbiamo creato. Siamo costretti a essere bugiardi dal limite delle due dimensioni. Ma siamo piacevolmente consapevoli ingannatori. Vediamo una foto che sembra scattata su un’isola caraibica, ma più in là, sul bagnasciuga c’era qualche bottiglia di plastica della nostra civiltà consumistica, ovviamente messa fuori dall’inquadratura. Ma nel nostro intimo ci sentiamo gratificati quando gli amici ammireranno lo scorcio che abbiamo ripreso. Ingannandoli.

 

Chi non ama aspettare, non può diventare fotografo – Sebastião Salgado

 

Saper aspettare è effettivamente una condizione siddhartiana indispensabile per qualsiasi fotografo. Anche per il fotoreporter che può trascorrere ore o giorni interi ad aspettare che un’azione avvenga per poi attivarsi improvvisamente.

Il fotografo di still life? Anche. La sua è tutta questione di pazienza nel preparare sapientemente il set, senza affrettarsi. Perché ogni lama di luce colpisca il soggetto lì dove deve andare. Il paesaggista? Sì, anche lui, attende la luce giusta. Quella che magari ha già in mente. O aspetta che la conformazione delle nuvole sia quella che preferisce prima del click.

 

Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà come, mentre altri di natura più curiosa si chiederanno perché – Man Ray

 

Non c’è niente di grave chiedersi, di fronte a una particolare fotografia, “come” è stata realizzata. Anzi, serve a scoprire e individuare nuovi linguaggi espressivi che andrebbero a sommarsi al proprio bagaglio professionale. Chiedendolo direttamente all’autore non sempre potremmo avere una risposta. Per qualcuno il segreto professionale è sacro.

Ma il “perché” esiste una determinata fotografia, bisognerebbe sempre chiederselo.

Perché è stata scattata? Perché è stata pubblicata su un’autorevole rivista? Perché è esposta in un museo? Perché (non) ci piace? Perché è fatta in un certo modo? Cosa vuole comunicare? È una fotografia utile per chi la osserva? Qual è il target? Chi dovrebbero essere i potenziali fruitori?

Perché i nostri occhi si sono posati su di essa per oltre cinque secondi?

 

 

Le citazioni sulla fotografia sono tante e forse, se si leggessero tutte, potrebbero fare più danni che altro. La cosa migliore potrebbe essere quella di conoscere l’intero pensiero del fotografo e il suo lavoro, la sua ricerca, per comprendere a fondo una sola frase.

Ma che il gioco dell’interpretazione delle citazioni continui! Trovatele in rete o inventatene voi, postatele sui social e avvierete discussioni interessanti.

05.11.2021 # 5831

Marco Maraviglia //

Dimitra Dede in mostra alla Spot Home Gallery con Ápeiron: l’assenza di confine

Immagini introspettive di un’insostenibile leggerezza dell’essere che indagano l’indefinibile della vita tra il buio e il buio

Chi è Dimitra Dede

Dimitra Dede è un’artista visiva greca che vive a Londra e lavora prevalentemente con la fotografia. Ha conseguito una specializzazione in New Media dopo gli studi in fotografia.

La sua pratica artistica coniuga la pittura e l’uso di sostanze chimiche con la fotografia. La creazione delle sue immagini si basa su un processo intuitivo. La sua ricerca esplora la connessione tra spazio e tempo, memoria e disorientamento, perdita e vulnerabilità umana, la vita e l’Assurdo. Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei e festival in Europa, Stati Uniti e Asia.

Il suo libro Mayflies è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020, e del premio Unseen Dummy Award 2018 all’Unseen Festival di Amsterdam.

- dal comunicato stampa

 

Osservando le foto di Dimitra

Si entra in un mondo grigio torbido, dove i neri sembrano carboncini sfumati a mano. E tratti come tracciati a china. Macchie slavate.Tutto si confonde, tutto è inafferrabile. Nell’oscurità il circostante è fluido. Onirico. Sogni o incubi?

Dettagli che divengono galassie. Il reale diviene immaginazione. Tutto si sovrappone. C’è tanto blur. Indefinibile, come ciò che la nostra zona grigia nasconde nella mente. Vedo riflessi, o sovrapposizioni di spazi, corpi e paesaggi? Non conta saperlo perché meglio lasciarsi andare a quel segmento della vita che c’è tra il buio e il buio. Tra il ventre materno e l’ultimo sospiro. Non conta perché il messaggio, la sensazione che l’osservatore riesce a percepire, è sufficiente.

Immagini da decifrare o ascoltare? Quale anfratto del proprio intimo bisogna esplorare per riconoscersi in quei frame che sembrano in movimento, che si avvicinano, ci sfiorano, si allontanano ma ci affollano come sogni labili, profetici, inconsci?

Ma poi, perché cercare di capire in un mondo in cui non esistono certezze? Tutto scorre in un arco temporale breve. I segni ci travolgono, ci attraversano.

Acqua, terra, il verde… tutto in grigio/nero. Il bianco è la luce, la somma di tutti i colori, e qui non serve, resta nel mondo di fuori per non distrarre da un’introspezione inconscia e meditativa. Tra accenni pareidolici immersi nell’eleganza di un glamour celato. Apoteosi della sensualità perché nascosta e da scoprire.

E tutto scorre, tra ricordi di passaggio, di quelli che forse non ne abbiamo bisogno riviverli, ma ci sono, esistono, vivono ancora in qualche meandro della nostra anima.

 

…una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto. Il tempo si è fermato, o eternizzato, non sappiamo, tanto strettamente fotografico da non aver più nulla a che vedere con quello dei nostri orologi.

- Christian Caujolle.

 

Come nasce la mostra

Cristina Ferraiuolo, gallerista della Spot Home Gallery, è una cacciatrice di teste del campo fotografico. Per la sua attività spulcia anche libri fotografici di editori indipendenti ed ha scoperto Dimitra Dede che ha voluto nella sua galleria per la mostra Ápeiron curandone la realizzazione insieme a Michael Ackerman.

63 opere, frutto di un percorso di circa 20 anni.

Ápeiron, dal greco antico “à”, assenza e“peras”, confine: assenza di confine. Il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede, ben riflesso nella frase dello scrittore greco Nikos Kazantzakis: "Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro. Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita".

 

La tecnica di Dimitra

L’artista non usa programmi di manipolazione di immagini ma interviene direttamente sui negativi con bruciature, cera, solarizzazione in camera oscura, vernice e usa tutto ciò che può per imprimervi dei segni come graffi e incisioni.

Un processo di trasformazione “punitivo” della materia che le consente di elaborare il dolore e di raggiungere l’armonia ricomponendo i pezzi frammentati della sua esistenza di donna, figlia, madre e artista.

I negativi così trattati vengono poi scannerizzati e stampati in giclée su diversi tipi di carta, a seconda dei soggetti.

Alcune immagini sono stampate su una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente, ma eccezionalmente resistente: assonanza con un femminile materno che coniuga fragilità e forza, amore e cura.

 

 

SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

ÁPEIRON

Dimitra Dede

dal 28 ottobre 2021al 28 gennaio 2022

 

Opening 28 ottobre2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com

 

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via Toledo n. 66, Napoli

+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

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