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01.07.2022 # 6088

Marco Maraviglia //

Fotografe! Fotografia al femminile tra presente e passato. Dagli archivi Alinari al contemporaneo

Affinità estetiche, tecniche e creative di una fotografia donna che viaggia senza cronologia temporale

Arrivano le fotografe! Di ieri e di oggi. Dal ‘900 al ventunesimo secolo. Una mostra sperimentale che affianca dagherrotipi a fotografie contemporanee stampate con processo Giclée. Ritratti di Diane Arbus o di Dorothea Lange attraverso i quali si possono scoprire relazioni, analogie, fili conduttori con i ritratti di alcune delle dieci fotografe contemporanee coinvolte in questa esplorazione estetica.

Nessuna cronologia. Nessuna intenzione di raccontare in funzione temporale la storia della fotografia. Un po‘ come allestire l‘album di famiglia affiancando la foto del proprio matrimonio a quella dei nonni. Come abbinare la foto della gita in barca a remi dei genitori nel laghetto di Villa Borghese a quella che ci siamo scattati all‘ombra dei Faraglioni a Capri.

Analogie, differenze, suggestioni, per temi e generi dove il ritratto fotografico la fa da padrona.

Non si tratta di approfondire uno “sguardo femminile” ma di individuare la centralità di alcune personalità – spesso sottostimate - nello sviluppo della ricerca fotografica sin dai suoi albori.

 

La presenza delle autrici contemporanee costituisce un ulteriore momento di riflessione che investe le pratiche artistiche odierne, a partire dal rapporto con il passato e con la memoria, siano esse individuali o collettive, all‘interno di un mondo in continuo mutamento, dove anche i ruoli sociali e i paradigmi ad essi legati sono in costante divenire

 

Ma chi sono queste autrici contemporanee? Sono dieci italiane. Eccole: Eleonora Agostini, Arianna Arcara, Federica Belli, Marina Caneve, Francesca Catastini, Myriam Meloni, Giulia Parlato, Roselena Ramistella, Sofia Uslenghi, Alba Zari.

Fotografe contemporanee anche perché la fotografia è per loro solo un pretesto di contorno al tipo di attività multimediale che svolgono.

I curatori Emanuela Sesti e Walter Guadagnini non hanno cercato competizioni tra loro e le autrici del passato come Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange, Margaret Bourke-White, Lucia Moholy, Maria Mulas, Ketty La Rocca, Lisetta Carmi, Diane Arbus, Bettina Rheims, ma l‘intento è quello di innescare un ulteriore momento di riflessione che investe le pratiche artistiche odierne, a partire dal rapporto con il passato e con la memoria.

Mischiare il passato con il presente. Una ibridazione di tempi storici che sorprende per le affinità estetiche o anche di ricerche tecniche tra l‘analogico e il digitale.

 

Questa mostra celebra il modo in cui le donne del passato e quelle contemporanee hanno guardato il mondo attraverso l‘obiettivo di una macchina fotografica – cosa hanno scelto di vedere e come hanno scelto di vedere se stesse.

- Margie MacKinnon, co-fondatrice e presidente di Calliope Arts,

 

C’è stato un gran bel lavoro di squadra per mettere a punto questa mostra. Grazie a Calliope Arts, ente no profit con sede a Firenze e Londra, nato per valorizzare e salvaguardare il patrimonio culturale delle donne attraverso il suo progetto Restoration Conversations, la mostra si arricchisce di due sezioni dedicate a fondi degli Archivi Alinari: quello delle sorelle Wanda Wulz (Trieste 1903-1984) e Marion Wulz (Trieste 1905-1990) e quello di Edith Arnaldi (Vienna 1884-Roma 1978), nota soprattutto come scrittrice ed artista di area futurista con lo pseudonimo di Rosa Rosà.

Molte opere inedite, alcune stampate direttamente dai negativi originali, che restituiscono alla fruizione pubblica i risultati di una prima ricognizione su materiali finora sconosciuti.

 

Nell‘ambito della mostra, distribuita in un itinerario tra Forte Belvedere e Villa Bardini, visite guidate, incontri con le autrici e laboratori gratuiti per famiglie e bambini dai 7 ai 12 anni: il laboratorio “L‘arte del vedere. Atelier per giovani fotografi” a cura di MUS.E, durante il quale i bambini potranno avvicinarsi al linguaggio fotografico in chiave giocosa; e il laboratorio “Erbario in cianotipia”, a cura di Fotonomia, in cui i bambini verranno guidati nella realizzazione di stampe fotografiche con la tecnica della cianotipia.

 

 

 

FOTOGRAFE! Dagli archivi Alinari a oggi

a cura di Emanuela Sesti e Walter Guadagnini

Dal 18 giugno al 22 ottobre 2022

Informazioni:

FIRENZE: Villa Bardini, Costa San Giorgio 2;  Forte Belvedere, via San Leonardo 1

Orario: Da martedì a domenica, ore 10.00 – 20.00 Lunedì chiuso, eccetto il 15 agosto  

Ingresso: Intero 10 euro. Ridotto 5 euro (giovani dai 18 ai 25 anni, studenti universitari muniti di tesserino, soci Touring Club Italiano, FAI, dipendenti Toscana Aeroporti, soci delle Associazioni “Conoscere Firenze” e “Amici dei Musei”)

Speciale riduzione 2X1 riservata per i soci Unicoop: due biglietti al prezzo di uno. 

Gratuito fino al compimento del 18° anno di età, gruppi di studenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, guide turistiche e interpreti, giornalisti muniti di tesserino, disabili e rispettivi accompagnatori, membri ICOM, ICOMOS e ICCROM, possessori della Card del fiorentino. 

Il biglietto è valido per le due sedi e consente la visita anche alla mostra di Rä di Martino “Play it again”, in corso nella Palazzina del Forte di Belvedere.  

 

Ufficio Stampa Davis & Co. Caterina Briganti | Lea Codognato  Tel. 055 2347273 | +39 340 9193358 info@davisandco.it  – www.davisandco.it

Federica Sanna Coordinatrice Ufficio comunicazione Fondazione CR Firenze Tel. + 39 337 1158024 federica.sanna@fcrf.it Linda Falcone Restoration Conversations - Calliope Arts Tel. +39 347 4891086 linda@restorationconversations.org

28.06.2022 # 6087

Marco Maraviglia //

Chernobyl Herbarium di Anaïs Tondeur in mostra alla Spot Home Gallery

L’alchimia delle connessioni tra sapere scientifico, filosofia, antropologia e arte per un contatto tra passato e futuro di una identità umana smarrita

Un laboratorio di Bruxelles. Protocolli di massima sicurezza. Anaïs Tondeur indossa una tuta a prova di radiazioni nucleari. Probabilmente sente solo il suo respiro mentre si dirige verso una delle darkroom più insolite del pianeta ubicata in quel laboratorio del Nord Europa. Completamente a tenuta stagna e non solo dalla luce. Qui non si stampano semplici fotografie destinate al mondo dell’informazione. 

Anaïs ha tra le mani inguantate un “oggetto prezioso”. Blindato in un contenitore al piombo.

In quella darkroom non c’è luce rossa perché non si stampa in bianconero. Si lavora al buio se non il tempo di quella manciata di attimi durante i quali i fotoni impressioneranno un foglio di carta fotografica a colori.


Anaïs Tondeur apre quel contenitore di piombo. Dentro c’è una di quelle piantine che dal 2011 le dona il biogenetista Martin Hajduch col quale ha intrapreso uno dei suoi progetti artistici: Chernobyl Herbarium.

Piante ormai secche, forse geneticamente mutate. Forse non del tutto morte. O forse morte ma ancora rivelatrici di qualcosa. Piantine prelevate dalla Zona di Esclusione di Chernobyl. Vegetazione cresciuta in una terra maledetta con la rabbia e l’energia di chi vuole vivere. Anche solo sopravvivere. Perché la Natura è più forte. Più del bene e del male della mente umana. Quella che cortocircuita il sistema-Natura, per intenderci.


Il 26 aprile 1986 un incidente a un reattore della centrale nucleare di Chernobyl provocò il più grande disastro ambientale che una centrale nucleare avesse mai potuto provocare.

C’è ampia letteratura su quell’episodio. E se ne continua a scrivere. E si continuano a studiare i suoi effetti. Anche in maniera creativa e interdisciplinare come il progetto di Tondeur.


Mentre fuori c’è tutto un mondo che si rincorre, Anaïs Tondeur in quella camera oscura super blindatissima, poggia il delicato relitto vegetale su un foglio di carta emulsionata a colori e vi lascia passare un breve e intenso fascio di luce.

Sviluppa il foglio nei chimici. Ottiene un rayogramma. Ogni volta il risultato è diverso. 

L’incontro chimico-fisico di quel processo è imprevedibile. Luce, emulsione del foglio, liquido rivelatore e residui di radiazioni interagiscono restituendo esplosioni grafiche che raccontano l’invisibile. Come sacre Sindone di una parte di natura del mondo che sta ancora attraversando il suo calvario.


Chernobyl Herbarium è un progetto in itinere, un erbario rayografico con il quale cerco di svelare, tramite la materia stessa delle fotografie, le stigmate dell‘esplosione nucleare sui corpi delle piante di Chernobyl.

- Anaïs Tondeur


Molti dei progetti di Anaïs Tondeur nascono dalla sua capacità di percepire certi accadimenti intorno a lei con un’attenzione particolarmente sensibile. Amplifica e rimescola il reale con l’immaginario, intreccia scienza, filosofia, arte, poesia usando la fotografia come supporto che ricongiunga attività multidisciplinari. Mostrando punti di vista alternativi. Magari utili agli stessi studi scientifici delle persone che via via avvicina per percorrere le sue narrazioni visive.

E così intraprende con il filosofo ambientalista Michael Marder, contaminato dall‘esplosione del reattore nel 1986, il progetto Chernobyl Herbarium.

Nel 2021, in occasione del 35° anniversario dall’esplosione, viene pubblicato il libro Chernobyl Herbarium, La vita dopo il disastro nucleare. L’edizione comprende trentacinque “pièce” comprensive di testi e rayogrammi composti da Michael Marder e Anaïs Tondeur. Ho scritto “pièce” perché meriterebbero di essere recitati in teatro, magari da un Marco Paolini, con proiezione delle immagini sullo sfondo.


…Grazie alla sua pratica estetica, Tondeur fa detonare e dunque rilascia le esplosioni di luce intrappolate nelle piante, le cui linee disperse attraversano i fotogrammi in ogni direzione. Libera tracce luminescenti senza violenza, schivando la reiterazione del primo evento invisibile di Chernobyl e, allo stesso tempo, catturandone frammenti. Liberazione e preservazione; preservazione, memoria, e liberazione: per grazia dell’arte. 

- Michael Marder

 


Cenni biografici (dal comunicato stampa)


Nata nel 1985, Anaïs Tondeur vive e lavora a Parigi. 

Laureata alla Central Saint Martins (2008) e poi al Royal College of Arts (2010) di Londra, ha ricevuto il Prix Art of Change 21 (2021) e la menzione d‘onore Ars Electronica CyberArts (2019).

Il suo approccio artistico è profondamente radicato nel pensiero ecologico e si inserisce in una pratica interdisciplinare attraverso la quale Tondeur esplora nuovi modi di raccontare il mondo, che permettano di trasformare la nostra relazione con gli altri esseri viventi e con i grandi cicli della terra. Incrociando scienze naturali, antropologia, creazione di miti e nuovi media, costruisce una sorta di laboratorio di attenzione e percezione che, attraverso l‘indagine e la finzione, si traduce in percorsi, installazioni, fotografie, esperienze sensoriali o processi alchemici. 


I suoi progetti di ricerca l’hanno portata in spedizioni attraverso l‘Oceano Atlantico, sui confini tra le placche tettoniche, nella zona di esclusione di Chernobyl, sotto la superficie di Parigi, attraverso suoli urbani inquinati o sotto il flusso atmosferico di particelle antropiche. Quando i territori delle sue indagini sono inaccessibili, crea veicoli immaginari che si muovono per lei. È così che ha mandato un sogno nello spazio a bordo di Osiris Rex, una navicella della NASA.


Ha risieduto come Artista in Ricerca e Creazione presso l‘ex deposito di semi della Famiglia Vilmorin (Verrières-le-Buisson, 2020-21), presso Chantiers Partagés a cura di José-Manuel Goncalves, presso 104 (2018-19), Artlink (Irlanda, 2019), al Musée des Arts et Métiers (2018-17), al CNES (2016), al Laboratoire de la Culture Durable avviato dal COAL al Domaine de Chamarande (2015-16), al Muséum National d‘Histoire Naturelle, all‘Institut Pierre et Marie Curie (COP 21, 2015) e a La Chaire Arts & Sciences (École Polytechnique, 2013-15). 


Le sue opere sono state esposte presso istituzioni internazionali come il Kröller-Müller Museum (Paesi Bassi), il Center Pompidou (Parigi), La Gaîté Lyrique (Parigi), il MEP (Parigi), il Frac Provence-Alpes-Côte d‘Azur, le Serpentines Galleries (Londra), il Bozar (Bruxelles), la Biennale di Venezia – Padiglione Francia, (Lieux Infinis), lo Houston Center of Photography (Stati Uniti) e il Nam June Paik Art Center (Seoul).






Esplosioni di luce

Chernobyl Herbarium

Anaïs Tondeur 

Dal 16 giugno al 14 ottobre 2022 

Spot home gallery

Via Toledo, 66 – Napoli


+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

www.spothomegallery.com


Ufficio stampa

Costanza Pellegrini 

costanzapellegrini2@gmail.com

16.06.2022 # 6075

Marco Maraviglia //

Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Cimeli di (ex) atleti e sportivi in una wunderkammer dove le storie di imprese epiche e prodigiose diventano arte

Chi è Marco Craig

Figlio dell’attore e doppiatore Mimmo Craig, fin da piccolo ha avuto modo di osservare le fasi di preparazione di spettacoli teatrali restando affascinato dal potere della regia, dai cambi di personalità degli attori attraverso il make-up e i costumi, la disposizione delle luci. Tutto un mondo che lo ha influenzato portandolo ad appassionarsi poi al cinema e alla fotografia. Da ragazzo studia presso una scuola d’arte ma approfondisce estetica e tecnica della fotografia nel prestigioso studio fotografico di Aldo Ballo e Marirosa Toscani.

L’arte della regia appresa da piccolo in teatro osservando maestri come Strehler, gli servirà per realizzare le immagini delle campagne pubblicitarie per conto di grandi agenzie pubblicitarie come Young & Rubicam, Leo Burnett, Ogilvy & Mater, Publicis e altre ancora.

È inoltre autore di servizi e copertine per riviste internazionali tra le quali: Wallpaper, Vogue, Elle, Vanity Fair, Brutus Japan.

Ma, con una buona dose di eclettismo, realizza anche immagini per il design e l’arredamento e pubblica alcuni libri tra cui NYC Marathon do not cross le cui immagini mostrano scene di backstage della famosa maratona di New York. Un volume che fa comprendere non poco l’interesse di Marco Craig sul mondo che vive intorno a un evento sportivo.

Gli occhialini di Federica Pellegrini © Marco Craig


Witness 1:1

Witness. Testimonianze. Del mondo olimpico e dello sport.

Marco Craig è uno che lo sport lo segue, lo pratica (attualmente si dedica al tennis) e si appassiona alle storie che ci sono dietro agli atleti. Alle loro imprese. Alla ricerca dei dettagli che ne enfatizzano le storie stesse.

Diventando una sorta di fan feticista ma con un meticoloso istinto di catalogatore di memorie. Esalta, attraverso le proprie opere, momenti di gloria che hanno segnato l’immaginario sportivo collettivo.

Stringere la mano a un idolo ci farà dire, «io l’ho toccato!» come aver catturato parte di un’aurea pensando che “indossarla” su di sé funzionerebbe allo stesso modo per una specie di transfert per niente dimostrabile scientificamente. Pensare che in quella fascetta che fermava i capelli di Björn Borg ci sono vecchie tracce di sudore che un giorno potrebbero servire a clonare nuovi campioni del tennis, è qualcosa che supera l’immaginazione ma che può farci sentire legati al futuro remoto. O, perlomeno, stabilire una corrispondenza d’amorosi sensi. Come direbbe Ugo Foscolo.

Ma Marco Craig elabora un concept alternativo alla semplice infatuazione del mito dell’atleta.

Come un grande giornalista d’inchiesta ha indagato oltre quelli che erano gli indumenti indossati da (ex) atleti entrando in contatto con musei, collezionisti, familiari, aziende, andando a spulciare aneddoti ed emozioni delle loro imprese memorabili.

 

Con un collezionista è stata abbastanza dura. Dopo sette cene che gli avevo offerto per trattare il prestito di uno dei cimeli, finalmente gli risultai simpatico e si fidò concedendomi il pezzo che volevo ritrarre.

 

1:1

I guanti di Giacomo Agostini, la piccozza di Walter Bonatti, le pagine del diario di bordo di Ambrogio Fogar, gli occhialini di Federica Pellegrini, una maglietta epica di Maradona… cimeli inseriti in buste, messi sottovuoto e poi fotografati in scala 1:1. E sembra strano vedere la tuta di Alberto Tomba più piccola rispetto a quanto invece immaginiamo la sua stazza in quel metro e ottantadue di altezza ma, spiega Marco Craig:

 

In realtà la tuta è molto elastica e quindi si presenta piccola se non è indossata.

 

Ma non è tutto.

Per ogni riproduzione del cimelio in busta sottovuoto, è applicata una targhetta scritta in stampatello e a mano, dallo stesso Craig, su cartoncino da imballaggio con tutti i riferimenti dell’oggetto. Oggetto, nome dell’atleta, l’evento in cui è stato usato l’oggetto, data, luogo dell’evento, storia didascalica dell’evento. Tutto rigorosamente in inglese ma non preoccupatevi se non conoscete qualche parola di inglese perché accanto a ogni opera esposta c’è l’etichetta didascalica sul muro anche in italiano. Brevi informazioni che riportano il pubblico a riflettere anche sui periodi storici dell’attualità socio-politica dell’epoca.

Si tratta di una sorta di disposofobia positiva questa di Marco Craig che ha realizzato una wunderkammer estemporanea per fissare storie di oggetti che diventano protagonisti di imprese sportive epiche, entrati a stretto contatto con gli atleti. Usurati, sporchi di sforzi, lasciati con tracce di DNA invisibile ma emozionalmente percepibile.  

Cimeli le cui riproduzioni continueranno a viaggiare con le loro storie divenute ormai opere d’arte grazie alle immagini di Marco Craig.

 

Informazioni Tecniche:

Stampe fotografiche FineArt montate su alluminio, cornice in rovere e vetro. Dimensioni diverse – Edizione di 5 esemplari + 2 p.a.

 


 

 

WITNESS 1:1

di Marco CRAIG a cura di Marina Guida

PAN Palazzo delle Arti Napoli – Via dei Mille, 60, 80121 Napoli

Dal 12 giugno al 4 luglio 2022

Tutti i giorni dalle ore 09:30 alle 19:30

Ufficio Stampa: Anna Chiara Della Corte acdellacorte@gmail.com Tel. 333 8650479 


In copertina: bicicletta di Giuseppe Saronni © Marco Craig

08.06.2022 # 6074

Marco Maraviglia //

Guido Harari, 50 anni di fotografie e incontri con chi ha fatto bello il mondo

Remain in light, la prima mostra antologica del fotografo che ripercorre il suo caleidoscopico mondo professionale

Il 24 giugno 1965 Guido Harari ha 12 anni e con una Zeiss si trova al Vigorelli di Milano insieme alla madre per assistere a un concerto epico. Dopo una sfilza di gruppi di supporter, compaiono finalmente i Beatles.

È un trauma di 40’ per Harari. Ma positivo: da quell’anno i Beatles non avrebbero mai più suonato in Italia e da allora maturò probabilmente nel giovanissimo fotografo, quell’istinto di conservazione di emozioni del palco rock.

Un istinto amplificato anche dal fatto di essere nato troppo tardi per poter vivere a contatto con la nascita di quel fenomeno che ebbe la sua apoteosi coi Festival di Woodstock e dell’Isola di Wight. Ed è forse stato per lui un desiderio latente di recuperare quel tempo non vissuto.

 

Guido Harari dal ’73 in poi ha firmato le copertine degli album tra i più grandi musicisti nazionali ed internazionali.

Ha incontrato molto da vicino Bob Dylan, Patty Smith, Tina Turner, Chuck Berry, Bob Geldof, Van Morrison, Joni Mitchell, Ray Charles, solo per citarne alcuni.

 

È stato fotografo ufficiale dei più prestigiosi tour di artisti internazionali. Harari è tra i pochi fotografi ad avere il privilegio del pass “ALL AREA”: quello che fa accedere al palco, camerini, “zone rosse”. Anche nelle suite d’albergo per chiacchierare e fotografare il rocker del momento. Per intenderci.

Ha iniziato senza accrediti, senza pass, senza essere l’inviato di qualche giornale. La passione per la musica lo portava ad arrivare sempre presto a un concerto. Magari anche prima del check sound.

Ore della sua vita trascorse nelle hall degli alberghi in attesa di incrociare gli artisti che lo “riconoscevano” dalla sua aurea rock, dai simboli “lookotici” che lo rendevano parte del branco. Due parole, qualche battuta e si ritrovava invitato ad assistere (e fotografare) le prove generali. L’opportunità per degli scatti alternativi, diversi. Quelli più amati dai fan incalliti perché mostravano gli artisti nella loro natura più spontanea.

Entrava nelle sale d’incisione per studiare l’umore degli artisti, scorgendone vezzi, tic, debolezze, punti di forza.

 

Per fare un ritratto, che sia ambientato, in studio, on the road, on the stage… non basta la padronanza tecnica di una reflex o di una folding e della luce. Bisogna entrare in empatia col soggetto che si ha di fronte.

Conoscerne la storia, sentirne la voce, sapere cosa pensa, cosa si aspetta dalla vita, se ha una sua idea politica o religiosa. Insomma, c’è da sentire il respiro della pelle, l’alito dello sguardo, le vibrazioni dell’anima. E Guido Harari ha sempre avuto quell’empatia con i personaggi che ha ritratto che lo facevano sentire uno di famiglia.

 

Adesso c’è questa colossale mostra antologica dei suoi 50 anni di carriera alla Mole Vanvitelliana di Ancona, a cura di Denis Curti artefice di grandi mostre dal respiro internazionale.

Remain in light. Resta nella luce. Un modo per esorcizzare il tempo dei cinquant’anni di fotografie.

 

È forse una dichiarazione di intenti, un imperativo, o piuttosto un augurio scaramantico. «Restare in luce» è più dell’esortazione che il fotografo indirizza ai suoi soggetti prima di far scattare l’otturatore: è soprattutto una preghiera, perché la memoria di quanto si è voluto fissare non evapori.

 

Il percorso espositivo della mostra si compone di otto sezioni articolate su temi o generi come quella dedicata solo ai ritratti dei personaggi italiani (ITALIANS); quella con fotografie esclusive dei backstage di tournée (ALL AREAS ACCESS); immagini realizzate durante il 25° anniversario del Festival di Woodstock che rifletteno su quel che rimane dell’utopia musicale degli anni Sessanta e dove il pubblico è protagonista assoluto (WOODSTOCK’94); alcuni ritratti realizzati a grandi fotografi che hanno ispirato Harari negli anni come Duane Michals, Richard Avedon, Sebastiao Salgado, Helmut Newton, Paolo Pellegrin, Steve McCurry, Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna, Nino Migliori, Gianni Berengo Gardin, Mario Giacomelli (RESTARE IN LUCE. I FOTOGRAFI).


E poi ancora, libri, documenti, filmati inediti, videointerviste, sperimentazioni alla ricerca di nuovi linguaggi, un documentario realizzato da Sky Arte a lui dedicato.

Tanta roba e i visitatori non si perderanno affatto tra tanto materiale perché saranno guidati in mostra da un’audioguida con la voce narrante dello stesso Harari.

 

E, al termine troveranno una stanza, la “Caverna Magica”, che in alcune giornate dedicate, sarà allestita con un set fotografico. Qui, su prenotazione, chi lo desidera potrà essere ritratto da Harari e ricevere una stampa Fine Art in formato 30x42 cm, firmata dall’autore. I ritratti realizzati verranno anche esposti in tempo reale nella “caverna”: una mostra nella mostra, in fondo.

 

In occasione della mostra, Rizzoli Lizard ha pubblicato un volume omonimo di oltre 400 pagine e 500 illustrazioni, di cui molte inedite, che sarà disponibile anche al bookshop della Mole Vanvitelliana.

Insomma, anche Guido Remain in Light. Meritatamente.

 

 


 

 

GUIDO HARARI. Remain in Light

50 anni di fotografie e incontri

 

Un progetto di Guido Harari

a cura di Denis Curti

 

Mole Vanvitelliana, Ancona

2 giugno – 9 ottobre 2022

 

Sede della mostra
Mole Vanvitelliana, Sala Vanvitelli 
Banchina Giovanni da Chio, n.28 Ancona
Orari di apertura

2 giugno - 9 ottobre 2022

Dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15,30 alle ore 20,30 
Aperture serali dopo le 20,30 in occasione di eventi nella Mole

Chiuso il lunedì ad eccezione del 15 agosto
Biglietti (audioguida inclusa)
Intero € 11,00
Ridotto € 9,00 gruppi di minimo 12 persone e titolari di apposite convenzioni,
Ridotto speciale € 5,00 per scuole e ragazzi dai 6 ai 18 anni, 
Gratuito minori di 6 anni, disabili e accompagnatori, giornalisti accreditati, guide turistiche con patentino, docenti accompagnatori
Prevendita € 1,00

 

Sito web mostra per info:

www.mostraguidoharari.it

Social:

FB: https://www.facebook.com/mostraguidoharari

IG: https://www.instagram.com/mostraguidoharari/

TICKET MOSTRA 

https://www.ticketone.it/artist/guido-harari/guido-harari-remain-in-light-3145586/

TICKET CAVERNA 

https://www.ticketone.it/artist/guido-harari/caverna-magica-ritratto-di-harari-3146552/ 

Rizzoli Lizard

https://rizzolilizard.rizzolilibri.it/libri/remain-in-light/

01.06.2022 # 6071

Marco Maraviglia //

Storie di Terre e di Mare. I Campi Flegrei visti da Francesca Sciarra e Massimo Buonaiuto

Mostra fotografica alla Casina Vanvitelliana sul Fusaro nell’ambito degli eventi di Procida Capitale della Cultura 2022

Francesca Sciarra e Massimo Buonaiuto sono una coppia green. Di quelle che il viaggio è stare a contatto con la natura alla ricerca del benessere e inoltrarsi in cittadine “off lines” tra trattorie misconosciute, camminate chilometriche o bicicletta caricata in treno, bagaglio essenziale, per poi scendere dalla carrozza e intraprendere itinerari alternativi come percorrere la sponda del Po.

 

Ci vuole un fisico bestiale? No. Francesca Sciarra e Massimo Buonaiuto non sono super eroi. Niente sport estremo. Basta avere il tempo lento. Niente fretta. Essere un po’ diesel dentro e approfittare delle belle giornate per camminare tanto anche d’inverno. Spesso coinvolgendo gli amici in passeggiate fotografiche attraversando percorsi insoliti. Spesso immergendosi nel verde sconosciuto della città e dei suoi dintorni.

 

I Campi Flegrei per Francesca e Massimo, fanno parte del loro mondo visivo da sempre. Un affetto particolare a quel territorio che li porta a cavalcare l’entusiasmo vissuto dai viaggiatori e artisti del Grand Tour; da Goethe a Franz Ludwig Catel, William Turner, Philipp Hackert. Perché molti di questi luoghi conservano ancora le caratteristiche paesaggistiche del Romanticismo. Natura selvaggia e incontaminata, macchia mediterranea, musei archeologici a cielo aperto, sentieri silenziosi, luci naturali da gouache.

 

È quel mondo che abbraccia tutta la zona tanto amata dagli antichi romani per il suo clima mite e che va dal cratere degli Astroni alla Foresta Cumana, da Coroglio a Pozzuoli. Passando per Baia, Bacoli, Miseno, i laghi vulcanici e Monte Nuovo, tra i sospiri sulfurei della Solfatara fino alle isole flegree: Procida e Ischia.

Sono stati coinvolti per questa mostra e, dal loro vasto archivio fotografico hanno selezionato venticinque fotografie ospitate nella Casina Vanvitelliana sul lago Fusaro.

 

È stata l’opportunità per fare un tuffo nel passato e rivivere i ricordi legati ai luoghi visitati.

- Francesca Sciarra

 

È stato un piacere spulciare l’archivio e rivederle tutte perché sono innamorato della zona.

- Massimo Buonaiuto

 

 

La fotografia come professione ma vissuta sempre con quella passione da giovane fotoamatore. Badando alla pulizia estetica della composizione. E alla logica del racconto reportagistico.

 

Sono immagini realizzate tra il 2009 e il 2022. Tutte postprodotte con contezza mantenendo un editing omogeneo tra loro. Perché i RAW li hanno sempre conservati.

 

Fotografie che mostrano luoghi spesso visitabili solo a piedi o con l’ausilio della bicicletta. Luoghi che stanno vivendo una graduale rigenerazione con un processo di valorizzazione che accentua la forza identitaria dei loro abitanti tanto legati al territorio.

 

Fotografie in formati 25x40 e due 30x40, stampate fine art giclée su carta matta e incorniciate, ma senza vetro per far assaporare la morbidezza, a volte pastellata, dei colori dei soggetti ritratti.

 

Le stampe saranno acquistabili online, firmate e con un certificato di autenticità allegato su “storie di terre e di mare".

 

 

 

Storie di Terre e di Mare

Di Francesca Sciarra e Massimo Buonaiuto

Real Sito del Fusaro - Casina Vanvitelliana

Dal 7 al 26 giugno 2022

Inaugurazione martedì 7 giugno 2022 alle ore 17:00

A cura di Barbara Giardiello



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