La rivoluzione del III millennio
C‘era una volta la fotografia analogica, ma c‘è ancora per qualcuno.
C‘erano una volta le pellicole fotografiche e le stampe ai sali d’argento. Ma esistono ancora.
Dalla nascita della fotografia fino alla fine del ‘900, c‘è stata tanta chimica che ha prodotto fotografie. Un fardello, per qualche fotografo ambientalista. O anche animalista, visto che la gelatina delle emulsioni per pellicole e carte fotografiche era prodotta anche dal trattamento di ossa bovine e suine. Scarti di macellazione, si intende.
Poi arrivò la fotografia digitale.
Meno pellicole prodotte. Meno prodotti chimici per gli sviluppi, arresti, fissaggi di pellicole e carte.
Ma la fotografia è diventata più green con il digitale?
Sotto l‘aspetto chimico-industriale sì. Ma forse non tutti si rendono conto che le nuove tecnologie, se spropositatamente utilizzate, comportano ben altri problemi ecologici.
Tutti ascrivibili in una locuzione poco usata: il byte-inquinamento.
La foto sofferta
Quando si scattava su lastra fotografica o su pellicola piana in grande formato, si facevano due-tre foto di un soggetto. Poi arrivarono le pellicole in rullo: da 12p (dodici pose, dodici scatti) se si usava una Rolleiflex o un‘Hasselblad o altra fotocamera di medio formato 6x6; e poi i rulli da 36p (trentasei fotogrammi) per chi usava una reflex meccanica-manuale. Ogni scatto preso era sofferto. Si pensava di inquadrare e comporre per bene l‘immagine. L‘esposizione doveva essere curata. Perché poi, meno tempo si perdeva in camera oscura per cropparle (taglio per dare una migliore inquadratura), mascherarle e bruciarle, meglio era. Perché le pellicole e stampe avevano un costo e costava svilupparle.
Col digitale cambia tutto
Ormai le schede di memoria delle macchine sono così capienti in termini di gigabyte che ci hanno tolto la preoccupazione dell‘ultimo scatto in camera. L‘ultimo colpo da “tenere in canna” per non perdere la foto dell‘ultima occasione che poteva essere imprevista, all‘ultimo minuto. Quando si usava la pellicola.
Si girava la leva per caricare l‘otturatore e già quel tempo ti faceva rendere conto della preziosità della pellicola che stavi usando.
Qualcuno aveva il motore di trascinamento con i 3-5 scatti al secondo. Ma lo usavano i professionisti che non potevano permettersi di perdere il momento clou del taglio del traguardo di un atleta o di quello di un‘auto sportiva. Erano fotografi che “dovevano” spendere più soldi in pellicole perché ci lavoravano. Erano il loro carburante.
Gran parte delle fotocamere di oggi hanno lo scatto continuo.
Spesso si scatta a raffica senza riservare un po‘ di educazione e gentilezza per l‘otturatore che potrebbe stancarsi e abbandonarci.
Ma di tutti quei click, quante foto sono necessarie? Quante saranno stampate per un album di famiglia e quante per una mostra? Quante serviranno per un lavoro editoriale o per realizzare un proprio libro? E quante resteranno custodite nei supporti di memoria per anni per accorgersi poi che nel frattempo si sono auto-distrutte?
Quanto è eterna la foto digitale?
Tutte fotografie, quelle digitali, che occupano memoria: CD, DVD, hard disk. Qualcuno le conserva sui cloud offerti da alcune piattaforme. Ma quanto durerà la libertà di gestire le proprie foto su uno spazio che non è il nostro cardex fisico, il nostro archivio che vediamo, tocchiamo, spostiamo all‘occorrenza come se fosse un divano?
Ma, riguardo i supporti fisici, elettronici, di memoria, chi ci garantisce che avranno una durata più lunga di un negativo bianconero o di una stampa ai sali d‘argento? E, data la velocità industriale dell‘obsolescenza programmata, chi ci garantisce che i computer e software annessi ci consentiranno di leggere i file dei nostri hard disk tra 20 o 40 anni? Se ho gli scanner acquistati nel 2000 che non posso collegare a un nuovo Mac, perché non posso immaginare che accada lo stesso per gli HD? Quanti hard disk finiranno in discarica perché divenuti illeggibili, obsoleti? E i dischetti? Anche quelli possono saltare, difettarsi, diventare illeggibili. Mica sono come dischi in vinile. E dovranno essere gettati via. CD e DVD in policarbonato che in Italia non vengono riciclati e destinati quindi ai rifiuti indifferenziati.
Le foto inutili, ridondanti. La sovrapproduzione di fotografie digitali
Produciamo file in RAW di circa 20-40 MB. Sono negativi elettronici con tutte le informazioni che ci servono per post-produrli, “svilupparli” con softweare. Un file RAW di 20 MB, salvato poi in jpg dopo la sua lavorazione, occupa 7 MB di spazio perché è un tipo di formato che comprime l‘immagine. Virtualmente pesa 35 MB. Ma la scelta che dobbiamo fare è se conservare il RAW una volta lavorata la foto e salvata in JPEG o disfarcene. Il suggerimento è quello di conservare entrambi. Perché magari la tecnologia per lo sviluppo dei RAW si potrebbe perfezionare ulteriormente tra qualche anno e potremmo riprendere i vecchi file in RAW per ottenere immagini lavorate meglio. Conservando RAW e JPEG si aumenta il peso di memoria per l‘hard disk certo, ma dovremmo essere critici con noi stessi per eliminare i file in RAW simili a quello lavorato, cestinando gli scatti simili, quelli fuori fuoco, i sotto-sovra/esposti, quelli con punti di vista inutili, quelli ridondanti: il tuo tramonto è migliore di altre migliaia di tramonti che ci sono in rete? È una foto che stamperai per ricordo? Potrebbe essere pubblicata da un giornale? Contiene elementi socio-antropologici-architettonici evidenti che saranno soggetti a cambiamenti e quindi storicizzabile? È ben contestualizzata? Mostra un fatto in maniera eloquente sensibilizzando su un argomento in particolare? È una fotografia che secondo te spacca tanto che potrebbe essere impressa nella memoria di un osservatore e ricordata per sempre?
Più o meno queste domande dovremmo porci prima di gettare nel cestino i nostri file fotografici.
Eliminare il superfluo, insomma. Senza affezionarci troppo alle nostre foto inutili.
Meno foto = meno spazio occupato = meno supporti di memoria = meno rischio di riempire le discariche per dischetti e hard disk diventati illeggibili.
Non solo spazio sui supporti di memoria ma anche in rete
Carichi le foto in un album su Facebook nella stessa risoluzione dei file nativi?
Quel tempo in più che ci vuole per postarle significa che si sta sovraccaricando la linea telefonica.
Per mandare foto in visione a un giornale affinché l‘editore, o chi per lui, decida se pubblicarle, non cè bisogno di mandare i file originali ma è meglio ridurli di peso. Successivamente potranno essere spediti in alta definizione e solo quelli effettivamente richiesti.
Una foto JPEG da 35 MB può essere tranquillamente ridotta a meno di 1 MB per essere vista su un monitor.
E così anche per i siti WEB e blog, conviene ridurre le foto al formato di visualizzazione finale. Un bel “Salva per WEB” dal Photoshop, ottimizza ulteriormente le foto per gli usi di cui sopra alleggerendole e donandole una maggiore brillantezza dei colori per la visione sui display. Del resto, anche per la stampa tipografica le foto devono essere sistemate nel formato di stampa finale in cm (centimetri) a una risoluzione di 240-300dpi.
Traffico sulle autostrade
Immaginiamo un‘autostrada a tre corsie. A un certo punto entra una colonna di autotreni con i rimorchi vuoti. Difficile che i tir viaggino senza carico perché sono organizzati in modo tale da sfruttare l‘andata e il ritorno a pieno carico. Ma se entrano in autostrada privi di merce, ingombrano comunque inutilmente una corsia rallentando le altre. I veicoli in tal caso, consumano più carburante perché viaggiano in un tempo maggiore.
Dovremmo considerare le vie telematiche come autostrade. Il tir che viaggia a vuoto è come se fosse il nostro file trasmesso a 30 MB invece di 1 MB: occupa inutilmente spazio intasando, rallentando, il traffico telefonico.
«Eh, ma io ho la fibra!». Giusto, ma siamo arrivati alla fibra perché i modem a 56kbps e poi l‘ISDN e poi l‘ADSL non riuscivano più a supportare l‘enorme traffico della rete. Aumentato perché è cresciuto il numero di utenti ma anche perché ci sono quelli che utilizzano la rete, inconsapevolmente, in maniera inappropriata. Oltre il necessario.
Non possiamo immaginare di costruire autostrade a dieci corsie. Sarebbero tanti ettari di boschi e campagne cementificati. Probabilmente non sarebbe nemmeno necessario il 5G, il 10G o il 100G per aumentare la velocità delle connessioni se usassimo i dispositivi digitali in modo strettamente indispensabile per trasferire dati.
Magari invece di allargare le autostrade si potrebbe incentivare l‘uso di auto più piccole o progettarle a due piani. Chissà se il Joint Photographic Experts Group (JPEG) ottimizzerà in futuro il formato per file fotografici più compressi e “a due piani”.
I siti WEB dei fotografi sono sostenibili? Sono ecologici?
Più foto ci sono su un sito, più emissioni di CO2 si producono. Specie se sono anche pesanti e non ottimizzate con il “salva per WEB” da Photoshop.
Jack Amend, fondatore e CEO del Web Neutral Project, una società che mira a mitigare la dipendenza di Internet dai combustibili fossili, ha dichiarato che «Internet è la più grande macchina produttrice di carbonio al mondo».
Ci sono diverse piattaforme in rete che misurano le emissioni di CO2 dei siti WEB come ad esempio Karmametrix. Sarebbe bene testare le pagine in costruzione di volta in volta durante l‘allestimento del proprio sito.
Ovviamente il discorso vale anche per l‘invio di mail: più megabyte trasmettiamo, più CO2 produciamo.
Senza poi contare la quantità di server che, per ospitare i nostri siti WEB, devono crescere sempre di più e che, per restare accesi, emettono anch’essi CO2.
Riepilogo
Insomma, la consapevolezza delle nostre azioni dovrebbe portarci a governarle per gestirle in maniera più eco-sostenibile. A pochissimi fa piacere di contribuire all‘emissione di CO2 e piccole azioni servono ad arginare il problema.
Come dice un vecchio proverbio «Se tutti spazzassero fuori la porta di casa propria, l‘intera città sarebbe pulita».
Riepiloghiamo di seguito alcune pratiche sane scritte fin qui:
1. Fotografare l‘indispensabile e come se avessimo solo 36 scatti in macchina
2. Evitare di scattare a raffica
3. Dedicarsi alla selezione delle foto prodotte per eliminare quelle inutili
4. Postare poche foto e solo quelle più significative sui social caricandole in risoluzione più bassa, tipo 1000pixel il lato lungo
5. Preferire gli hard disk ai dischetti o ai cloud per lo storage (archiviazione)
6. Utilizzare la funzione di salvataggio “salva per WEB” di Photoshop prima di farle circolare sui social: serve a ridurre i dati delle foto senza che l‘occhio umano se ne accorga
7. Evitare di inviare per la sola semplice visione, immagini superiori a 1 MB
8. Inserire sul proprio sito solo le foto più significative e non album fotografici interi e con foto simili tra di loro
9. Ottimizzare le foto per il sito WEB: il lato lungo a 1300pixel è più che sufficiente per la visione a monitor
Foto di copertina: Bethany Drouin da Pixabay