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11.10.2022 # 6156
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Ascoltare il silenzio. Un intimo Grand Tour contemporaneo in un lido del ferrarese

Chi è Enzo Crispino

Nato a Frattamaggiore (Napoli) il 15 marzo 1964. Attualmente risiede in provincia di Reggio Emilia

La sua passione per la fotografia nasce casualmente come hobby nel 1990 dopo un viaggio in Inghilterra. Da sette anni si dedica da autodidatta e con assiduità allo studio della tecnica e della Storia della Fotografia. Luigi Ghirri Guido Guidi, Eugène Atget, Saul Leiter e Mario Carnicielli sono gli autori presenti nel suo “Pantheon” ideale.

Negli ultimi tre anni si dedica al Pittorialismo e al Citazionismo.

Di carattere intimo e sensibile, è tendenzialmente socievole e ama relazionarsi, contrariamente a quanto si potrebbe credere osservando le immagini delle sue ricerche fotografiche spesso «permeate da un alone di malinconica solitudine» come lui stesso afferma.

 

Ammesso per meriti artistici in qualità di Socio di Merito all‘Accademia Internazionale d‘Arte Moderna di Roma con nomina a Maestro di Fotografia Artistica.
Alcune sue opere sono incamerate dai Musei Civici di Reggio Emilia, dal Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, presso il C.S.A.C di Parma e il Centro Studi Archivio e Comunicazione dell‘Università di Parma.
Collabora con agenzie internazionali tra cui la Blink di New York.

Pubblica due libri fotografici con la casa editrice Corsiero editore "La bellezza perduta” e "Otto ore".
È rappresentato da Artifact Gallery di New York e da Galleria DuePuntoZero di Bergamo.


Lo stile

Enzo Crispino è interprete e citazionista nei suoi lavori. Appassionato di vedutisti e paesaggisti del ‘700 e del Romanticismo, le sue immagini restituiscono quelle sensazioni romantiche e cromatiche tipiche di questi periodi artistici. Come un viaggiatore del Grand Tour armato di fotocamera e non di acquerelli, tubetti e cavalletto, Crispino realizza gouaches contemporanee omaggiando artisti come Edward Dodwell, Simone Pomardi, William Turner, John Constable. Con quella patina giallina tipica del dipinto vissuto dal tempo. Dove il paesaggio prevale senza presenza umana ma con le sue tracce che si scorgono in pochi elementi.

 

Il Rumore del Silenzio

Spiaggia vuota in inverno. Desolazione. Si ascolta il silenzio. Quei suoni e rumori percepibili da chi apre il proprio cuore e la mente allo spazio intorno.

Immagini essenziali, minimaliste, che sembrano vuote ma che tra il cielo tumultuoso del pomeriggio invernale e la distesa di sabbia, si scorgono i segni di un‘attività balneare estiva ormai trascorsa. Rumori, urla, risate, rimbombano tra le frequenze assorbite dalla sabbia.

Giochi per bambini, canestri, porte di calcetto senza attività umana.

Tavolini di ombrelloni dimenticati, sedie abbandonate trascinate dal vento.

Sventola una bandiera rossa di pericolo. Un monito per azzardati temerari del bagno invernale. Forse.

L‘ingresso del lido è chiuso, ma c‘è una vita invisibile oltre, immersa nel silenzio ma Crispino in quel vuoto sonoro ne ascolta forse i rumori. Riflettendosi. Scorgendo in sé il suo stato sensibile del momento. Silenzio.

 

[...] Ho bisogno di silenzio

come te che leggi col pensiero

non ad alta voce

il suono della mia stessa voce

adesso sarebbe rumore

non parole ma solo rumore fastidioso

che mi distrae dal pensare. [...]

- Alda Merini

 

Le foto della mostra

Quindici immagini. Su carta Canson Photosatin da 270 gr in formato 30x40 applicate su passepartout 40x50, autenticate con firma e timbro

 

 

 

Il rumore del silenzio

Di Enzo Crispino

A cura di Silvio Panini

L‘Ottagono – Galleria comunale d‘arte contemporanea

Piazza Damiano Chiesa, 2 (angolo via Gramsci) – Bibbiano (RE)

8-30 ottobre 2022

Sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 16 alle ore 18.
INGRESSO LIBERO

Info: galleriaottagono@gmail.com

21.10.2022 # 6164
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Pino Levano in mostra con Corpo Eretico/Project

Tracce di viaggi dell‘anima assediata da sacrifici, sfide e sofferenze che raggiungono il buio ma riscattandosi

Chi è Pino Levano

Pino Levano, classe 1974. Orgogliosamente di Napoli Est, «teatro di incontro e scontro fra culture diverse. La periferia come laboratorio di identità non/finite».

Da ragazzino smonta la fotocamera Kodak del padre per cercare probabilmente chissà quali segreti nascosti in quell‘oggetto. Poi, quando è ancora alle scuole medie, gli regalano una compatta analogica e inizia ad appassionarsi alla fotografia.

Si diploma al Liceo Artisico e poi si iscrive al corso di pittura dell‘Accademia di Belle Arti di Napoli dove, tra i docenti, c‘è Adachiara Zevi (figlia di Bruno) che contribuisce ad aprirgli un mondo diverso, con dinamiche creative opposte rispetto a quelle che stava seguendo in maniera più individuale e convenzionale.

Le conoscenze pittoriche lo aiuteranno poi a impostare l‘estetica per i suoi lavori fotografici a venire.

Di grande curiosità introspettiva dell‘animo umano, Pino Levano sperimenta nel corso degli anni varie tecniche espressive artistiche prima di approdare al suo ultimo lavoro: Corpo Eretico /Project.

 

Ricerche e sperimentazioni

Fotografia, stucchi, polveri, video, disegno, pittura, assemblaggi di materiali recuperati, manichini, sono state tutte sperimentazioni con il latente e persistente interesse della “geografia umana”, data la sua indole sensibile ed empatica.

Nel 1997 si laurea con la tesi Il cinema di Peter Greenaway – pittura, composizione, simmetria in cui analizza la filmografia dell‘artista. Incontra il britannico Greenaway in occasione di uno spettacolo al teatro Politeama che gli regala due ore di visione delle prove generali e Levano ne resta ulteriormente affascinato dalle sue contaminazioni espressive.

È il periodo in cui Pino Levano indaga l‘aspetto individuale della persona.

Studia la poetica di artisti come Francis Bacon, Lucian Freud, August Sander. Individua il corpo non come contenitore a sé ma è l‘anima che indossa il corpo.

Partecipa a due edizioni di Corto Circuito. Nel ‘97 e nel ‘98. Presente in diverse mostre collettive fino a presentare Mask of breathe, una sua personale di fotografia a colori a Lacco Ameno (Ischia).

 

Ad arricchire il suo background artistico è l‘esperienza di consulente designer a 360° per un‘azienda che si occupava di realizzare paramenti sacri. Un “jolly creativo” che disegnava oggetti sacri anche per il Vaticano, li fotografava occupandosi della loro comunicazione cartacea e WEB. E mi piace pensare che tra talari, candelabri, tabernacoli che disegnava, non abbia immaginato un proprio confessionale ideale. Perché adesso finalmente vi racconto quel che ho capito di Corpo Eretico /Project…

 

Corpo Eretico /Project

Come raccontarsi in un confessionale.

L‘esercizio dell‘empatia matura ulteriormente nelle ore di insegnamento scolastico durante le quali Pino Levano entra in contatto con chi è totalmente avulso da conoscenze artistiche. Il dialogo, detto alla Erich Fromm, è un dare e avere. Disinteressatamente e con la massima attenzione e predisposizione all‘ascolto. Ascoltando magari ciò che non viene detto tra le parole. Ascoltando le vibrazioni, il timbro, il tono della voce. Cercando di non lasciare adito alle proprie interpretazioni ma di sintetizzare e sublimare l‘essenza di una “confessione”.

Levano inizia a ideare Corpo Eretico durante la pandemia. Il contatto con una persona cara colpita da Alzheimer lo avvicina a quel concetto di “anima indossata dal corpo”. Il corpo è solo un involucro che cela un mondo spesso sconosciuto. Un libro chiuso. Da aprire per leggerlo e con una narrazione che può cambiare, trasformarsi a seconda delle vicende che accadono.

Accade, per una serie di coincidenze e connessioni interpersonali, che Pino Levano entra in contatto con persone che iniziano a raccontargli storie intime della propria vita. Storie maledette. Storie di sacrifici, di rinunce, di malesseri non sempre superati. Emarginazione, mobbing, trapiantati, tragedie familiari, desiderio di un figlio mai avuto…

Ma molte di quelle storie hanno comunque arricchito la personalità e la coscienza di chi le ha vissute. Esorcizzandole, dopo la caduta morale, spirituale, si sono rialzate.

 

La fantasia abbandonata dalla ragione genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie.

- Francisco Goya in riferimento alla sua incisione “Il sonno della ragione genera mostri”

 

Pino Levano decide allora di ritrarre queste storie. Sì, avete letto bene: ritrarre storie. Perché non si tratta di osservare i soggetti umani nelle immagini, ma i loro abiti invisibili del vissuto interiore. Qualcosa che si può scorgere, intuire, presumere. La presenza degli oggetti di scena nelle immagini possono aiutare a comprendere il senso delle storie. Oggetti e materiali allegorici, metafore della drammaticità trapelante. Intima. Non rivelata platealmente. I segreti restano nelle immagini, la codificazione resta criptata in corpi intenzionalmente derotizzati. L’osservatore è destinato a farsi domande sapendo che non avrà risposte certe se non direttamente dalla voce della persona ritratta.

Sono fotografie realizzate tutte a casa dei “confessati”. Un drappo di stoffa come fondale, poche luci preferendo spesso quella ambiente e il resto accadeva sequenzialmente durante le riprese.

E infatti è sulla sequenza che Levano pone l‘attenzione:

 

Non sono scatti unici ma sequenze. Riferimenti narrativi ripresi come storyboard. Indulgiare sul momento è perché si sta raccontando qualcosa di importante. I tempi dell‘azione sono prolungati perché sta avvenendo qualcosa che fa parte del tempo stesso.

- Pino Levano

 

Da ragazzino smontò la Kodak del padre per cercare chissà quali segreti nascosti. Adesso è custode di segreti più intimi e complessi. Senza aver smontato corpi umani ma semplicemente accogliendoli in quel suo confessionale immaginario.

 

 

 

Corpo Eretico / Project

Di Pino Levano

Coordinamento artistico di Gianni Biccari

FOTOARTinGarage

P.co Bognar, 21. 80078, Pozzuoli (Na)

Dal 22 ottobre all‘11 novembre 2022

Inaugurazione 22 ottobre h. 17.30

07.10.2022 # 6153
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Respiro. Aritmia di un territorio. Bagnoli oggi e speranze

Mostra di Paolo Cappelli, Paola Margherita e Marcello Anselmo a cura di Marco Izzolino

Che succede? Cosa sarà?

C‘è che un patrimonio di centottanta ettari ha iniziato a respirare da circa trent‘anni in modo spasmodico.

Nel 1992 tutta l‘area dell‘Italsider di Bagnoli chiuse definitivamente.

Da allora è divenuto quel territorio che potrebbe diventare come la Barcelloneta o una Nizza con un lungo marciapiede come quello di Copacabana, villaggi turistici tra giardini all‘inglese e alberi mediterranei, labirinti come quelli del Castello di Schönbrunn, fontane scenotecniche dai mille colori di luce, piste ciclabili, attracco per diportisti in transito, campo da golf, sculture artistiche interattive, micro-navette a energia solare, stazione di energia da fonti rinnovabili, biblioteca e videoteca, drive in, museo di Bagnoli, piscine termali, trattorie con prodotti a Km0, mercato di prodotti campani di ogni genere e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, potenzialmente potrebbe essere il Paradiso del Sud. E l‘immaginazione costa zero.

Tra decine di proposte e progetti che si sono avvicendati in questi anni, tra tavole cartacee, modelli plastici e rendering, l‘ultimo progetto è Balneolis di Invitalia. Ma non sarà breve la sua realizzazione.

 

Intanto la zona continua a “respirare”. Tra strutture dismesse, ormai di archeologia industriale, la natura fa il suo corso. Si rigenera in quel processo anarchico che stupisce per la sua imprevedibile vitalità e velocità di conquista. Nonostante il terreno sia stato martoriato nel passato da polveri pesanti e nanoparticelle, amianto, sedimenti industriali.

Nella totale assenza della presenza umana, specie botaniche ricoprono parte delle strutture abbandonate e uccelli migratori vi fanno tappa. Un paesaggio che sembra evocare le tavole di Moebius o quelle di Francisco Solano López (L‘Eternauta).

Un paesaggio surreale e metafisico allo stesso tempo. Senza tempo, se non quello delle tracce lasciate dalle industrie e quello impresso nella memoria di chi ricorda i fumi rossi dall‘odore acre sbuffati dalle ciminiere.

 

Ero una bambina quando invece negli anni Settanta le coppiette a via Manzoni si parcheggiavano sul belvedere della fabbrica di notte, potendo godere di un paesaggio di indiscutibile fascino post futurista fatto di mille tracciati e raccordi luminosi, fumi violacei, colate infuocate: un unico organismo pulsante. La memoria orale di quella storia comincia a dissolversi per motivi anagrafici…

- Paola Margherita, artista

 

Respiro è la mostra in corso a Città della Scienza visitabile fino al 29 ottobre, allestita con le fotografie di Paolo Cappelli, le sculture di Paola Margherita e due lavori di Marcello Anselmo.

 

Respiro ha l‘ambizione di provare a descrivere l‘aritmia del paesaggio di Bagnoli: lo spasmo, ma al contempo anche le potenzialità, del territorio; le implicazioni invisibili di un lungo processo in cui ogni forma può diventare inaspettatamente il principio di una trasformazione in divenire, un “non più” ma anche un “non ancora.

- Marco Izzolino, curatore della mostra

 

E troviamo le fotografie di Paolo Cappelli. Una Urban Exploration (URBEX) non clandestina ma fatta alla luce del giorno, “grazie” alle lunghe trafile burocratiche per avere i permessi necessari per le riprese.

Strutture che sembrano cattedrali gotiche, musei post-industriali, templi greci, acquedotti romani o altri spazi pompeiani. Elementi architettonici che stimolerebbero a immaginare una loro rigenerazione, senza abbatterli. Per lasciare parte delle testimonianze del territorio come il mercato di Camden Town di Londra o la Rhur in Germania trasformata in complesso culturale.

Cappelli propone 19 fotografie stampate prevalentemente in bianconero in formati 50x70 e 100x150.

 

Scattando le mie fotografie ho immaginato il “respiro” di questo territorio, l‘alternanza di Inspirazione ed Espirazione, necessaria alla vita di ogni forma vivente, applicata ad un luogo. Terra, alberi, piante, mare: dopo una lunga Espirazione durata 40 anni circa si è giunti ora alla fase dell‘Inspirazione, dell‘incameramento dell‘ossigeno, di un nuovo equilibrio.

- Paolo Cappelli, fotografo

 

Paola Margherita, scultrice a 360°, espone immagini tridimensionali ricomponendo i suoi disegni presi da punti di vista diversi dello stesso soggetto. Una laboriosa tecnica mista tra pittura, disegno a matita su cartoni ricuciti manualmente, restituendo una profondità plastica dei luoghi che “svela la frammentarietà della percezione dello stesso, in cui il fattore tempo è scritto nella cucitura ed il movimento è di chi osserva e attraversa lo spazio”.

Dettaglio di una scultura di Paola Margherita


E poi c‘è il documentario di Marcello Anselmo prodotto dall‘Istituto Luce Cinecittà: Posidonia, i fondali della metropoli.

 

I fondali della Metropoli è un viaggio, sonoro e visivo, sulla linea costiera, emersa e sommersa, prossima alla città di Napoli. Racconta il rapporto viscerale che lega il mare e la città attraverso la narrazione (auto) biografica di Claudio Ripa, storico subacqueo partenopeo, profondo conoscitore dei fondali metropolitani e già campione del mondo di apnea nel 1959.

- dal comunicato stampa

 

Inoltre Respiro è anche un altro lavoro di Marcello Anselmo. Un paesaggio sonoro i cui suoni e rumori dei luoghi sono tratti da archivi dagli anni ‘50 e oltre e che accompagnano la visione della mostra. Una colonna sonora implementata dalla musica originale dell‘ensamble Nino Bruno e le 8 tracce, ispirata alla vita della grande fabbrica e alla sua dismissione.

 

Respiro vuole anche essere - prosegue il curatore- una mostra /manifesto, una chiamata, rivolta a tutti gli artisti del territorio partenopeo, affinché con la propria ricerca possano contribuire al racconto del luogo unico in cui, dopo anni di stallo, i napoletani stanno tornando ad osservare e ad ascoltare il respiro della Terra.

- Marco Izzolino, curatore

 

Fino al XV secolo non esistevano gli architetti. Chiese, edifici, assetti urbani, erano edificati in base alle conoscenze ed esperienze di monaci, muratori, artisti, scrittori, persone edotte che suggerivano le loro idee e immaginazioni.

Dalle esperienze visive di mostre come Respiro si potrebbero trarre spunti creativi per affinare il progetto per l‘area dell‘ex Italsider. E sembra che l‘intento sia questo: ascoltare la gente del territorio.

Chissà…


Foto di copertina: © Paolo Cappelli

 

Respiro – Aritmia di un territorio

A cura di Marco Izzolino

Fondazione IDIS - Città della Scienza – Spazio Galilei

29 settembre - 29 ottobre 2022

20.09.2022 # 6132
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico

Fotografare e scrivere. Un (per)corso creativo dello psicoterapeuta Alfredo Toriello che presenta il 21 settembre all‘A‘ Mbasciata

Abbiamo cinque sensi che percepiscono il mondo intorno a noi.

Abbiamo cinque sensi che raccolgono dati che shakeriamo, frulliamo, qualcuno lo memorizziamo singolarmente e lo stipiamo nel nostro hard disk cerebrale. Dati che conserviamo, a volte inconsapevolmente, a breve, media o lunga scadenza. A volte ci sono dati che crediamo di aver rimosso per sempre ma riemergono in talune circostanze. Nel bene o nel male.

È la gestione di quei dati che formano la nostra personalità, il nostro umore, modulano i nostri rapporti col mondo amicale, familiare, lavorativo.

Siamo fatti di dati. Di esperienze. Di storie vissute. E a volte non riusciamo a controllare il succedersi degli eventi.

Tutte le informazioni che assorbiamo attraverso i nostri sensi, non sempre sono esenti di rumori, disturbi, influenze. E questi ci riesce difficile filtrarli per (ri)stabilire l‘equilibrio con noi stessi.

 

A volte abbiamo bisogno di un aiuto, di una guida, per ritrovarci. Per ristabilire quel contatto armonico tra mente e corpo affinché la nostra presenza non sfugga da noi stessi.

Alfredo Toriello è uno psicoterapeuta laureato alla facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma ed è giunto alla sua settima edizione di Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico.

Un‘attività multidisciplinare di consapevolezza e conoscenza dell‘io che approda nel filone della fototerapia. Con tutti titoli e le competenze annesse.

«Eh, ma la fotografia è terapeutica di per sé» potrebbe dire qualcuno. Certo. Come dipingere, suonare, dedicarsi alla ceramica o altri hobby che rilassano e auto-gratificano. Ma qui parliamo di altro.

 

Fotografia e scrittura viaggiano parallelamente in questa avventura del diario psicofotografico.

Ogni partecipante del corso di Alfredo Toriello, traccia la propria vita quotidiana attraverso una fotografia al giorno da scattare e tre pagine di diario da scrivere. Ogni giorno.

Se capita una giornata in cui non si ha nulla da raccontare, si lasciano le pagine in bianco. Ma è quasi impossibile non riuscire ad appuntare qualche riga perché intorno e dentro di noi accadono sempre cose o, almeno, si sogna e immagina qualcosa. A volte parole scritte di getto che possono sembrare sconnesse tra loro, dicono molto più di un pensiero razionale. A chi ha gli strumenti per interpretare. Perché non sono importanti la buona grammatica o la sintassi, ma il pensiero. E va bene anche trascrivere la lista della spesa o imprecazioni, desideri, descrizioni di luoghi visitati…

Quanto alla foto quotidiana, è sicuramente più semplice. Non è importante essere fotografi. Non occorre la fotografia ben fatta o bella ma il momento che abbiamo fissato anche con un semplice telefonino.

Momento inteso come attimo di percezione che cattura la nostra attenzione. Qualunque soggetto esso sia.

«Dimmi come e cosa fotografi e ti dirò chi sei» verrebbe da dire. Ma il lavoro è più complesso.

 

Tre pagine di diario e una fotografia al giorno. Per sei mesi.

Alfredo Toriello inizialmente non dà altre linee guida che vadano al di là dell‘obiettivo che si propone. Fissa, nell‘arco dei sei mesi, dodici incontri di gruppo con i partecipanti per visionare e discutere volta per volta le “mappe del territorio” che si vanno delineando, assegnando via via anche dei “compiti a casa”, per sviluppare al meglio l‘esperienza individuale e quindi collettiva attraverso lo scambio di esperienze stesse.

Mappe del territorio intese come mappe di informazioni sensibili. Dati grezzi raccolti dai partecipanti che Toriello distillerà per il percorso psicofotografico.

Al termine di questo, che potrebbe sembrare un gioco ma in realtà è un processo di consapevolezza e conoscenza mediato da attività creative (fotografia e scrittura), dodici foto e dodici testi rappresenteranno il diario psico-fotografico finale: Memorie di me.

 

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico è alla sua settima edizione a Napoli. Altre cinque si sono svolte tra Aversa e Roma. Il format è stato oggetto di studio per due tesi di laurea sviluppate da due studentesse di psicologia della Sapienza di Roma. Tali tesi hanno avuto la supervisione di un gruppo di controllo che ha dimostrato vantaggi maggiori in chi ha seguito la procedura del diario psicofotografico rispetto a chi ha realizzato solo fotografie perseguendo gli stessi fini.

Il corso può essere seguito da chiunque sia maggiorenne. Destinato a persone interessate alla fotografia e all‘aspetto del processo creativo dell‘iniziativa. E, ovviamente, al benessere di se stessi.

 

Chi è Alfredo Toriello

Nasce a Cava dei Tirreni nel 1972. Laureato alla facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma.

Psicoterapeuta Sistemico.

In ambito clinico si occupa di individui, coppie e famiglie.

Da diversi anni utilizza tecniche di fototerapia e fotografia terapeutica, sia in ambito clinico sia in ambito sociale e ha sviluppato un modello nuovo di lavoro che definisce PsicoFotografia.

Il suo ultimo progetto sul Diario PsicoFotografico, è frutto dell‘esperienza maturata in questi anni nel campo della fotografia e della scrittura autobiografica.

Esperto in tecniche psicocorporee e meditative organizza periodicamente seminari residenziali.

Conduce gruppi evolutivi che hanno come obiettivo la conoscenza di sé e uno sviluppo armonico dell‘individuo.

 

 

 

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico

Presentazione del corso e del libro d‘artista

Mercoledì 21 settembre 2022 - ore 19.00

A‘ Mbasciata

Via Benedetto Croce, 19 - Napoli

Sarà illustrata la struttura del corso, le novità e i lavori dei partecipanti dello scorso anno.

info al 370 1092684

Evento Facebook

08.09.2022 # 6115
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Italia In-Attesa, 12 racconti fotografici sul lockdown in Italia

A Napoli, fino al 18 settembre, oltre 100 foto alla Casa della Fotografia in Villa Pignatelli

Italia In-Attesa. Un‘Italia inattesa è in attesa. Un titolo che Alberto Berengo Gardin ha reso graficamente sulla copertina cartonata e telata del catalogo, con un ulteriore significato dividendo le parole: Italia (primo rigo), in-at (secondo rigo), tesa (terzo rigo).

“In-at” interpretabile come preposizioni in inglese. E poi quel “tesa” che lascia ricordare la tensione che abbiamo vissuto durante le due chiusure per causa pandemia.
Un‘Italia inattesa, in attesa e tesa. In maniera inattesa ci si è trovati catapultati nel lockdown.

9 marzo - 4 maggio 2021. È stato il periodo più angosciante della storia italiana per chi è nato dopo la II Guerra Mondiale. Smart working, lavoro in presenza solo per attività indifferibili con autocertificazione al seguito. Didattica a distanza per le scuole. Scontrini fiscali chilometrici del supermercato dove si entrava previa misurazione della febbre e con guanti monouso in lattice. Mascherine a gogo. Qualcuno con visiera protettiva.

Bollettini giornalieri dei contagi alla tv trasmessi da una sala stampa da clima dell‘ex URSS. Ecc. ecc.

Un coprifuoco vissuto senza bombardamenti. In una guerra silenziosa durante la quale non c‘era Radio Londra a dare le notizie, ma social e mainstream che narravano tutto e il contrario di tutto.

Come si fa a non dimenticare…

 

Nel frattempo il paesaggio urbano e quello naturale assumevano un altro aspetto.

I delfini si avvicinavano alle coste. Orsi, cinghiali, rapaci ed altri animali selvatici entrarono nei “confini” urbani. Le piazze e le strade delle città completamente deserte. Niente umani, niente suoni e rumori se non qualche canzone dai balconi dove qualcuno espose lenzuola con l‘arcobaleno con quella frase “andrà t…” che è meglio non riscrivere.

In quel periodo tanti fotografi bloccati in casa lavorarono su altro e di alcuni ne scrissi qui, ma ci fu un gruppo di alcuni fotografi, autorizzati dal Ministero della Cultura, che realizzarono immagini sul campo.

 

“Italia in-attesa” rappresenta una delle tre azioni, distinte ma complementari, del progetto 2020FermoImmagine (www.2020fermoimmagine.beniculturali.it) - ideato e organizzato dal MiC con il coordinamento della Direzione Generale Creatività Contemporanea - insieme alla mostra “Città sospese. I siti italiani Unesco nei giorni del lockdown” e “REFOCUS”, open call per fotografi under 40, lanciate nel 2020 per indagare l‘Italia durante le misure di contenimento dell‘epidemia.

- dal comunicato stampa

 

La Casa della Fotografia in Villa Pignatelli ospita le immagini di dodici fotografi: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr, George Tatge.

Non tutte le fotografie sono realizzate necessariamente in campo. Come quelle di Francesco Jodice che con Falansterio espone vedute aeree di edifici totemici estratte da viste satellitari, stando comodamente seduto sul proprio divano di casa.

Silvia Camporesi ci mostra spazi ludici disabitati e negati come le giostre dei giardini pubblici recintati dal nastro segnaletico rosso-bianco.

La distopia di Venezia è rappresentata da Paola De Pietri. Piazza San Marco e il Lido deserti. Ma è l‘assenza di gondole e vaporetti che ti rende incredulo e, se ti fossi risvegliato da un sonno durato oltre due anni, vedendo quelle foto penseresti che si tratti del set di un film di Spielberg.

Ma qualcosa viveva in quei giorni, e infatti Andrea Jemolo, oltre a mostrarci Piazza di Spagna e piazza Navona completamente deserte, ci riporta alla vita con uno scorcio dove c‘è un‘insegna accesa: “forno”.

È successo tutto questo? Sì, è accaduto. Con serie conseguenze sull‘economia, sulla socialità e sulla psicologia delle persone.

Ma non bisogna dimenticare. E infatti queste immagini contribuiranno alla memoria storica per noi stessi e per i posteri.

 

Il progetto di questi dodici racconti è stato esposto per la prima volta nel 2021 nelle sale di Palazzo Barberini - Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma. Una mostra che alla sua seconda tappa approda a Napoli.

Immagini destinate alla «creazione di un archivio visivo dell‘Italia durante la pandemia, che ha permesso di comprendere come l‘emergenza sanitaria ha influito sullo sguardo e sulla coscienza di alcuni dei principali narratori visivi italiani».

 


 

Italia In-Attesa

Progetto curato da Margherita Guccione e Carlo Birrozzi

Allestimento di Napoli: Marta Ragozzino (direttrice regionale Musei Campania) e a cura di Alessandro Demma

Villa Pignatelli – Casa della fotografia

Riviera di Chiaia 200, Napoli

15 luglio > 18 settembre 2022

Orari: mercoledì-lunedì 9.30-17.00 (martedì chiuso). La biglietteria chiude alle 16.00

Biglietti: intero 5€, ridotto 2€ (18-25 anni), gratuito under 18 e categorie secondo normativa vigente (cultura.gov.it/agevolazioni).


Foto di copertina: Paola De Pietri - Venezia, 2020

05.09.2022 # 6113
Enzo Crispino e il Rumore del Silenzio

Marco Maraviglia //

Non dite alla madre di Sara Munari che è andata nello spazio

Un viaggio impossibile con prove fotografiche schiaccianti che dimostrano l‘esistenza di una storia accaduta. Nella mente o nella realtà non ha importanza

C‘è chi quando perde una persona cara non cancella il suo numero di telefono dalla rubrica del telefono e non la rimuove dai suoi contatti sui social.

Non solo continui a custodire nel cuore e nella mente i ricordi vissuti con tale persona, ma sei tentato di provare a telefonarla. Mantieni una speranza che possa risponderti da chissà quale luogo. Poi ti fermi mentre stai per cliccare su quel nome e compaiono i lucciconi agli occhi.

Al massimo scrivi un post sul suo profilo. Magari in occasione del suo compleanno. Per condividere con gli amici in comune la grande mancanza che avverti. O degli aneddoti carini vissuti insieme.

Condividere anche dolori e tristezze è cosa umana.

A volte quelle persone care ti vengono a trovare nei sogni. Ridiamo, scherziamo in posti indefiniti ma che avvertiamo reali, ci si abbraccia e al risveglio ci sentiamo un po‘ delusi ma sollevati. A volte felici per il resto della giornata.

 

Quando un parente stretto inizia ad allontanarsi da noi un po‘ alla volta, è sempre un dramma. Un distacco biologico graduale che ci impedisce di comunicare in maniera lucida. Il tempo che scorre ci prepara lentamente alla perdita. Mettendoci a dura prova quando si giunge a quella volta in cui non siamo più riconosciuti.

Momenti in cui nascono meccanismi di sopravvivenza emotiva. Cercando nuovi canali di comunicazione, inventandoseli, pur di mantenere un legame con chi è stato parte della propria vita. Cercando di non farsi travolgere dal quel labirinto di nuvole che ti rende impotente.

 

Attenzione, chi non crede ai mondi oltre, può accomodarsi fuori la porta dove è appeso il cartello su cui è scritto “Other places”. Perché sembra che le prossime righe siano tratte da un racconto di fantascienza o da un dipinto surrealista. Ma invece è tutto vero. Ci sono le foto che lo dimostrano. È tutto reale. Nessun programma di fotoritocco. C’è anche un video che testimonia l‘esperienza di Sara che, tiene a precisare, ha piena facoltà di intendere e di volere.

 

Sara Munari intraprende un viaggio tenuto nascosto alla madre per anni. È nata nel 1930 e adesso ha 88 anni.

Adesso Sara può raccontare tutto perché sono decaduti tutti i termini di segretezza di quando lavorava per la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration).

 

Nel 1958 fondiamo la NASA (National Aeronautics and Space Administration) l‘agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d‘America e della ricerca aerospaziale.

Nel 1959 creo un settore personale, la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome), che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational).

Io sono quello che viene definito “membro occulto” quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza, così come il settore RASA.

 

Se non ci credi significa che non ti sei accomodato fuori quella porta.

Non ditelo a mia madre è l‘opera che racconta il viaggio compiuto dall‘autrice per ritrovare il padre sofferente di Alzheimer, sul pianeta Musa 23 (MUnari SAra).

È una metafora nata dall‘incapacità di comunicare con chi è affetto da Alzheimer. Un viaggio in cui Sara incontra altri umanoidi ma si confronta solo con l‘extraterrestre x23. Il padre, che deve poi forzatamente tornare sul suo pianeta. È il distacco da chi non ha più possibilità di miglioramento dalla malattia.

Il racconto fotografico ha un approccio ironico. Una scelta legata agli interessi del padre di Sara Munari: «persona socievole e fantasiosa, amante di tutto ciò che riguarda lo spazio e la possibilità dell‘esistenza di altre forme di vita».

Sara Munari ritorna sul pianeta Terra e al risveglio si ritrova in quel limbo in cui lei stessa non sa se sia stato tutto reale. Ma nella stanza trova fotografie che testimoniano il suo viaggio.

Vecchie fotografie usurate e ammuffite dal tempo. Ma quale tempo? Metafisico? Surreale? Chi decide che il tempo sia quello vissuto nel mondo reale? E quali sono i canoni del reale? I sogni esistono fisicamente da qualche parte? Ma, innanzitutto, possiamo avere la libertà di immaginare mondi paralleli e magari crederci fino a prova contraria? Essere irrazionali, fantasiosi, immaginatori, non fa bene alla propria mente per evadere ed esorcizzare ciò che riteniamo sia la realtà?

Immaginare costa zero, in fondo. E Sara non è detto che sia nata il 23 maggio 1972 come dice la sua anagrafe, ma nel 1930.

 

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia.

La mia famiglia è emigrata a New York l‘anno successivo.

Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta.

Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere.

Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.

Finalmente posso raccontare tutto.

 

Bio

Sara Munari nasce a Milano il 23 maggio 1972 ma gira il mondo. Espone in Italia ed Europa presso gallerie, Festival e musei d‘arte contemporanea. Fa da giurata e lettrice portfolio in Premi e Festival Nazionali. Gira l‘Italia per tenere conferenze, corsi e letture portfolio. Vince, coi i suoi lavori, premi nazionali e internazionali.

Attraverso una continua ricerca, sviluppa storie visuali che approfondisce, attraverso la contaminazione di più media, partendo sempre da una base fotografica.

Scrive quattro libri di teoria sulla fotografia e ne pubblica di quattro di sue fotografie. Docente di Storia della fotografia e comunicazione visiva presso Istituto Italiano di Fotografia e di Linguaggio e Costruzione del racconto fotografico in molte sedi italiane. Ha un blog di fotografia molto seguito in Italia: www.saramunari.blog

Apre nel 2019 Musa Fotografia, centro per corsi, mostre, presentazioni e tutto ciò che riguarda la fotografia, a Monza. Ottiene premi e riconoscimenti a livello internazionale.

Si diverte con la fotografia, la ama e la rispetta e non sa perché ha scritto in terza persona... forse fa finta di non conoscersi.

 

 

Non ditelo a mia madre di Sara Munari

1-26 settembre

10:00-13:00

15:00-19:00

Grenze | Galleria d‘Arte Contemporanea

in collaborazione con Isolo17 Gallery

Via XX Settembre 31b

37129 Verona

Ingresso gratuito

Per scoprire di più sulla mostra: https://www.grenzearsenalifotografici.com/sara-munari

Grenze Arsenali Fotografici 2022

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