Marco Maraviglia //
Come ti interpreto la citazione. Frasi epiche di fotografi, intorno alla fotografia, rilette e un po’ smontate.
Rileggendo le citazioni d’autore, sono ancora tutte attuali? O qualcosa andrebbe riadattato e smentito?
Giovani fotografi che citano frasi famose di fotografi come se fossero Fede assoluta. Diventano claim, slogan ad effetto piazzati nelle home dei propri siti WEB o postate sui propri profili social. Una citazione non può però essere una filosofia di vita professionale assoluta, ma soltanto un omaggio al fotografo che si ama. O uno tra i tanti punti di riferimento. Come vette di monti che sono comunque interconnessi tra loro da colline, valli, laghi, fiumi.
E comunque ogni citazione andrebbe contestualizzata nel suo periodo storico. Perché cambiano le tecnologie, cambiano gli uomini, cambiano i linguaggi visivi.
Proviamo a riflettere un po’ su alcune di tali citazioni…
Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene – Ansel Adams
Immaginiamo un giornale con notizie fatte di sole foto e senza nemmeno le didascalie. Riusciremmo ad estrapolare da esse le informazioni relative alle 5W giornalistiche?
What – Che cosa
Who – Chi
Where – Dove
When – Quando
Why– Perché
Sono le cinque domande che un giornalista deve soddisfare, per un normale articolo contenendo le risposte.
Da un giornale solo iconografico forse riusciremmo ad avere una o due informazioni se avessimo conoscenze pregresse di un fatto. Se conoscessimo il luogo in cui è stata presa una foto o conoscessimo il personaggio ritratto, potremmo dire che si tratta di “Mr. Smith ripreso a Portobello Road”. Il who e il where quindi, ma cosa, perché e quando era lì Mr. Smith non potremmo saperlo.
La citazione di Ansel Adams non funzionerebbe nemmeno per una gran quantità di fotografie concettuali. O artistiche, volendo. Perché non tutti possono avere gli strumenti culturali o un background esperienziale vasto che consente di comprendere immagini più complesse rispetto a un semplice paesaggio. E allora abbiamo immagini che sono accompagnate da testi di curatori, critici o da sinossi scritti di pugno dall’autore stesso che ci servono a comprenderle. Insomma, qualche “barzelletta” andrebbe spiegata.
Fotografare è mettere sulla stessa mira, testa, occhio e il cuore – Henri Cartier-Bresson
Siamo convinti di ciò che disse il mitico Bresson? La citazione tra le più famose di tutte può considerarsi completa? Assoluta? Verbo? Proviamo a interpretarla?
In realtà per fotografare occorre avere una certa sensibilità emozionale e percezione. Caratteristiche che, per svilupparle, necessitano di allenamento, esperienza, coscienza di sé, conoscenza. Il fotografo potrebbe trovarsi in una situazione nuova per lui e le foto che scatterebbe non rappresenterebbero al meglio il contesto. La “testa” dovrebbe rappresentare il bagaglio di competenze che si hanno relativamente al contesto che si fotografa. Se ci viene chiesto di fare foto di scena per uno spettacolo teatrale ma non conosciamo la trama della storia, le battute o scene più importanti, gli attori, le pause, le luci, probabilmente faremmo delle foto tecnicamente buone ma non belle. Specie se prese senza “cuore” che credo Bresson si riferisse molto probabilmente alla passione e alla cura nel fotografare.
E comunque solo la vista, “l’occhio”, tra i cinque sensi a volte non è sempre sufficiente: udito e olfatto possono stimolare infatti la nostra percezione facendoci dirigere l’occhio verso una determinata scena da inquadrare. L’olfatto ci guiderebbe dietro il vicolo in un’isola greca e con sorpresa ci farebbe trovare un delizioso ristorantino da fotografare: dallo chef ai piatti che cucina.
La parte più importante di una macchina fotografica sta dietro ad essa – Ansel Adams
Torniamo all’ottimo Adams che conferma quanto già scritto sopra riguardo la citazione di Bresson: senza testa e cuore che viaggiano in tandem, l’occhio non basta. L’obiettivo e quindi l’occhio vede ma non osserva. Inquadra, taglia, sceglie cosa deve entrare nelle due dimensioni dell’immagine, compone bilanciando i pesi delle luci, ombre, colori, seguendo l’armonia e il ritmo di linee, volumi, spazi. Da solo l’occhio potrebbe restituire solo immagini virtuose sotto il profilo estetico-geometrico ma prive di significati più intensi.
Ciò che c’è dietro una macchina fotografica è la parte più importante: la testa!!! In essa vi è contenuta tutta l’esperienza del fotografo non solo professionale ma anche umana. Il suo vissuto, le persone che ha incontrato, i viaggi “lenti” e non mordi e fuggi, gli studi seguiti, i libri letti, i film visti… tutto materiale invisibile attraverso il quale ha formato la sua personalità. Tutto l’immateriale della cultura personale che genera inevitabilmente un pensiero che si proietta sulle immagini che realizza.
Se le tue foto non sono abbastanza belle, è perché non sei abbastanza vicino – Robert Capa
Probabilmente il “fotografo di guerra” Capa si riferiva, rispetto a quel "abbastanza vicino", allo stare nell’azione di un evento in maniera ravvicinata. Ma essere vicino al soggetto da riprendere non significa necessariamente stare dentro la scena. La vicinanza può essere anche soltanto emotiva e usare magari anche un teleobiettivo per avvicinarsi al soggetto da riprendere. Non c’è bisogno di fare un primo piano alla barba di un tuareg nel deserto o riprendere l’ugola di un soprano per fare un ritratto, ma occorre conoscere a fondo le caratteristiche del soggetto che fotografiamo. Essere vicini inteso quindi non necessariamente in termini di distanza fisica, almeno non solo, ma avere una maggiore conoscenza e sensibilità verso quel che si riprende. In una parola: empatia.
L’abilità nella fotografia si acquisisce con la pratica, non con l’acquisto – Peter Lindbergh
È chiaro che se non acquisti una fotocamera non puoi essere un abile fotografo perché non hai lo strumento per diventarlo con la pratica. Però acquistando costose attrezzature non ci consente di diventare abili fotografi.
Anche acquistare costosi software di postproduzione non ci rende abili, utilizzandoli. Perché occorrono anni per imparare a utilizzarli facendo appunto pratica.
Ma l’acquisto potrebbe essere riferito anche a corsi, seminari, webinar, workshop e quant’altro di fotografia. Indispensabili per ampliare le proprie conoscenze tecniche di fotografo e senza le quali i tempi della pratica per acquisire abilità, si allungherebbero. Perché nei suddetti incontri c’è sempre uno o più professionisti che oltre alla tecnica trasferiscono ai propri allievi esperienze di cui fare tesoro. Accelerandone la pratica per transfert.
Il fatto è che, anche dopo aver studiato a lungo la fotografia “acquistando esperienze”, occorre fare sempre pratica. Perché non si smetterà mai di imparare.
L’importante è vedere ciò che è invisibile agli altri – Steve McCurry
Esiste qualcosa che può essere invisibile ad altri? Perché? Ma il fotografo deve semplicemente vedere ciò che è invisibile ad altri o deve avere anche l’abilità di mostrare a questi ciò che non vedono?
C’è una differenza sostanziale tra guardare e osservare. Fotografi, scrittori di romanzi, registi, grafici, artisti visuali sono allenati a osservare. Guardare e porsi domande su ciò che vedono. Sono abituati ad entrare emozionalmente dentro la scena, riescono a sezionarne tutti i suoi elementi individuando il punto di massimo interesse che potrebbe essere invisibile o non individuabile al primo impatto alla maggior parte delle persone. Perché a volte c’è rumore visivo che distrae. Il fotografo è come un musicista, o un tecnico del suono, che filtra suoni e rumori di fondo, note stonate per restituire la massima purezza di un pezzo musicale.
Non basta vedere ciò che è invisibile agli altri, occorre riuscire a sintetizzarlo nella foto per mostrarlo a chi fruirà di quella foto.
A volte è indispensabile anche un certo tipo di postproduzione per esaltare ciò che si vuole mostrare. E questo McCurry lo sa bene preferendo la saturazione dei colori.
La fotografia, come tutti sappiamo, non è affatto reale. È un’illusione della realtà con cui creiamo il nostro mondo privato – Arnold Newman
Già nel momento in cui inquadriamo una scena, limitata da quattro lati e inevitabilmente annullando la terza dimensione, stiamo alterando la realtà. Non mostriamo tutto ciò che c’è intorno alla finestra che abbiamo creato. Siamo costretti a essere bugiardi dal limite delle due dimensioni. Ma siamo piacevolmente consapevoli ingannatori. Vediamo una foto che sembra scattata su un’isola caraibica, ma più in là, sul bagnasciuga c’era qualche bottiglia di plastica della nostra civiltà consumistica, ovviamente messa fuori dall’inquadratura. Ma nel nostro intimo ci sentiamo gratificati quando gli amici ammireranno lo scorcio che abbiamo ripreso. Ingannandoli.
Chi non ama aspettare, non può diventare fotografo – Sebastião Salgado
Saper aspettare è effettivamente una condizione siddhartiana indispensabile per qualsiasi fotografo. Anche per il fotoreporter che può trascorrere ore o giorni interi ad aspettare che un’azione avvenga per poi attivarsi improvvisamente.
Il fotografo di still life? Anche. La sua è tutta questione di pazienza nel preparare sapientemente il set, senza affrettarsi. Perché ogni lama di luce colpisca il soggetto lì dove deve andare. Il paesaggista? Sì, anche lui, attende la luce giusta. Quella che magari ha già in mente. O aspetta che la conformazione delle nuvole sia quella che preferisce prima del click.
Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà come, mentre altri di natura più curiosa si chiederanno perché – Man Ray
Non c’è niente di grave chiedersi, di fronte a una particolare fotografia, “come” è stata realizzata. Anzi, serve a scoprire e individuare nuovi linguaggi espressivi che andrebbero a sommarsi al proprio bagaglio professionale. Chiedendolo direttamente all’autore non sempre potremmo avere una risposta. Per qualcuno il segreto professionale è sacro.
Ma il “perché” esiste una determinata fotografia, bisognerebbe sempre chiederselo.
Perché è stata scattata? Perché è stata pubblicata su un’autorevole rivista? Perché è esposta in un museo? Perché (non) ci piace? Perché è fatta in un certo modo? Cosa vuole comunicare? È una fotografia utile per chi la osserva? Qual è il target? Chi dovrebbero essere i potenziali fruitori?
Perché i nostri occhi si sono posati su di essa per oltre cinque secondi?
Le citazioni sulla fotografia sono tante e forse, se si leggessero tutte, potrebbero fare più danni che altro. La cosa migliore potrebbe essere quella di conoscere l’intero pensiero del fotografo e il suo lavoro, la sua ricerca, per comprendere a fondo una sola frase.
Ma che il gioco dell’interpretazione delle citazioni continui! Trovatele in rete o inventatene voi, postatele sui social e avvierete discussioni interessanti.