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08_04_2015
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Maurizio Galimberti nasce a Como nel 1956.
La passione per la fotografia lo spinge a partecipare a numerosi concorsi fotografici, alcuni vinti addirittura con vari pseudonimi.
Nei primi tempi utilizza la classica pellicola analogica, finchè nel 1983 avviene l'incontro con la Polaroid, che diviene un elemento fondante ed insostituibile del suo lavoro.
La scelta avviene per il semplice motivo che non sopportava l'attesa dello sviluppo per vedere il risultato del suo scatto e per l'immediato apprezzamento della resa dei colori.
Dai primi anni novanta si dedica esclusivamente alla fotografia, dopo aver abbandonato l'attività di famiglia.
Nel 1991 inizia a collaborare con Polaroid Italia, della quale diviene ben presto testimonial ufficiale. Ai mosaici dedicati alle vedute urbane si affiancano i ritratti, che lo portano ad avere nel 1999 la nomina al primo posto nella classifica dei fotoritrattisti di Class.
Ricordiamo inoltre la copertina di Times Magazine inglese del 27 settembre 2003, con il ritratto di Johnny Depp.
Ha realizzato numerose campagne pubblicitarie ed importati volumi dedicati a varie città del mondo.
Ha esposto il suo lavoro in gallerie pubbliche e private in Italia e all'estero.
Galimberti cita il fotografo Mario Giacomelli che sostiene:
“La macchina fotografica è un attrezzo, l’importante è che nella testa di un fotografo ci sia la capacità di farlo funzionare bene”.
Spesso Galimberti utilizza anche macchine usa e getta.
Si definisce un narratore di intimità quindi necessariamente va al di là di una semplice classificazione per genere.
Come paesaggista inizia il suo lavoro con “Viaggio in Italia” del 93 sulle orme del viaggio Goethe .
Galimberti arriva a definirsi un musicista per le modalità con le quali si approccia alla rappresentazione dello spazio.
Nel suo desiderio di rapportarsi al luogo che ospita il suo sguardo lui restituisce, fotografando, quanto osservato “Suonando la musica del luogo”.
L’inizio e la fine di ogni brano musicale come di ogni sua fotografia è sempre lirico e poetico.
E’ molto legato all’idea del necessario equilibrio compositivo nella costruzione dell’immagine; definendosi ironicamente un geometra delle forme dello spazio.
Il suo modo di stare al mondo come fotografo ha un riferimento molto poetico.
Lui dice di essere come Cosimo del Barone rampante di Calvino.
Sta seduto su di un albero e decide di scendere solo in funzione di certe situazioni che lo colpiscono.
A furia di guardare e riguardare uno spazio ce ne si appropria e si è pronti per poterlo raccontare (Doisneau) ed è questo il suo approccio alla fotografia.
Le sue immagini lui le definisce cariche di energie figlie della corrente futurista che attraversò mezzo mondo agli inizi del 900
DA UNA INTERVISTA
Lei ha creato una poetica sull’istantanea: com’è nata?
Quest’idea è nata nel tempo, all’inizio non me lo sarei mai aspettato. Piano piano ho maturato quest’intenzione: poi l’idea, unita a una forte progettualità, ha preso vita.
Credo che sia importante credere nel proprio lavoro, conoscere bene il mezzo per saperne poi sfruttare tutte le potenzialità.
Nei primi anni di lavoro la mia idea di panoramica era influenzata dal futurismo: immagini dinamiche realizzate grazie a un obiettivo rotante.
Ero condizionato dal fotodinamismo dei fratelli Bragaglia – Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia si sono dedicati alla sperimentazione di tecniche fotografiche e cinefotografiche innovative, concentrandosi soprattutto sulla fotodinamica, avvalendosi anche del contributo del movimento Futurista ed in particolare di Marinetti.
Poi, con Polaroid, ho iniziato gradualmente a scomporre le immagini in più piani di lettura, in diversi frammenti.
Giorno dopo giorno ho capito qual era la strada che volevo percorrere, il sogno che volevo inseguire.
La forte intenzionalità e la progettualità sono, ripeto, fondamentali. Man mano che lavori, metti a fuoco il sogno; man mano che lavori, cresci.
Mi definirei un artista perché vado a caccia di emozioni.
Di sicuro non sono un fotografo perché non mi interessa raccontare la realtà.
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