Urania Casciello //
Generazione Ilas:
Intervista ad Andrea Emma
Viaggio di un Creative Director tra
Andrea Emma è creative director e fondatore dell’agenzia di comunicazione CROP Studio.
Nasce a Napoli nel 1981, nel giorno della Liberazione. Affascinato fin dai primi anni di vita dalle armonie delle arti visive e performative deve gran parte della sua sensibilità artistica alle attitudini e talenti familiari che gli hanno aperto la strada verso un’esplorazione appassionata dell’arte, della musica e della fotografia. Terminati gli studi liceali e iniziati quelli universitari viene totalmente assorbito nel mondo Ilas, dove comincia un percorso formativo decisivo. Dal 2001 inizia la sua immersione nel mondo della comunicazione digitale e cominciano le prime esperienze lavorative presso agenzie di comunicazione come art director. Nel 2006 decide di continuare da freelance professionista e in un momento di grande fermento artistico personale si trasferisce a Barcellona nel 2008, vivendo quattro anni di immensa crescita professionale. Diventa in poco tempo direttore creativo di un’agenzia internazionale di Web Marketing e Digital Design. Nel 2011, spinto dall’amore per Napoli e dalla voglia di sfruttarne un inespresso potenziale, decide di partecipare ad un progetto di co-working portando la sua esperienza internazionale e conoscendo gran parte del team con il quale adesso collabora. L’amore per la fotografia e la musica si consacra in una delle esperienze umane ed artistiche più stimolanti, attraverso la mostra personale “Enzo Avitabile Music Life” del 2012 al Castel Sant’Elmo, estratto delle fotografie di scena del docu-film firmato dal premio Oscar Jonathan Demme. Nello stesso 2012 è ideatore, fondatore e creative director di CROP Studio, la sua sfida attualmente in corso più stimolante e importante.
(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Andrea Emma) È un periodo molto intenso, di grande pianificazione e organizzazione di progetti stimolanti. La fortuna di fare questo lavoro è spesso quella di poter scegliere con chi lavorare e soprattutto in che modo cercare di fare al meglio le cose. Per rispondere al meglio alla tua domanda posso rivelarti che i progetti più interessanti degli ultimi mesi vanno dalla tecnologia e l’ecosostenibilità, passando per l’arte e il design con un periodo molto intenso di produzioni video che coinvolgono scenari rurali, sveglie presto, mille caffè e albe mozzafiato.
Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?
Credo nella creatività come ad un dono o semplicemente come una positiva “inquietudine” che ti circola dentro.
Avendo avuto un trascorso da musicista, è un po’ come sentire il “groove” che hai dentro.
La creatività non puoi scegliere di averla, o ce l’hai o non fa per te. Ma per stimolarla spesso scelgo di immergermi totalmente nel punto di vista avverso all’obiettivo che voglio perseguire, per avere una visione lucida e chiara delle cose che non dovrò certamente fare.
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?
Ricordo di essere stato attirato da un manifesto che mio padre mi fece vedere per strada, all’epoca ero uno studente universitario di informatica ingolfato e non era certamente sereno il mio stato d’animo. Quel manifesto e la lungimiranza di mio padre - a cui devo tutto - mi spinsero a compiere il passo. Ed è stato un passo che somigliava più ad un salto. Ricordo dell’Ilas come di un qualcosa che all’epoca era totalmente inedito nello scenario formativo del 2000-2001. Entrare in aula, ascoltare la musica durante i laboratori, avere dei professionisti giovani, simpatici e preparatissimi. Non c’era un solo minuto di lezione che non fosse appassionante. Per mia fortuna ho letteralmente divorato l’anno, nello stesso anno ho cominciato a lavorare come designer e attualmente molti dei docenti con cui ho fatto lezione sono diventati amici e in alcune occasioni anche colleghi di lavoro. Qualcosa di veramente intenso.
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
La sensibilità verso le arti visive mi ha sempre avvicinato molto al mondo della comunicazione. Ricordo che nella televisione anni 80-90 la cosa che mi piaceva di più guardare erano le pubblicità, mi soffermavo a guardare i packaging, mi affascinavano le tipografie e le illustrazioni, MTV rappresentava l’innovazione in termini di ricerca di stile, di animazioni ed ero uno spettatore già all’epoca attento a tanti dettagli.
Non sapevo di poter fare proprio questo lavoro, ma ero certo che sarei entrato da una delle porte dell’arte per poterla far diventare parte della mia vita.
Nel 2012 hai fondato CROP Studio, come l’avevi pensata in quegli anni e come è diventata oggi?
Nel 2012 avevo gli occhi che brillavano di un’esperienza conclusa all’estero ed ero in pieno amore per il mio rientro in patria. Devo ammettere che il ritorno è stato stimolante anche grazie al gruppo di visionari professionisti che ho conosciuto. La voglia era tantissima di poter creare qualcosa di unico e di sfruttare il potenziale e le altissime qualità che ognuno di noi esprimeva in modo indipendente, ed è così che è nata CROP Studio.
L’intuizione è stata giusta perché mancava un’idea di appartenenza e un coordinamento strategico. La possibilità di “incrociare i flussi” e diventare più forti. CROP Studio voleva essere esattamente quello che sta diventando oggi, una realtà che guarda al futuro della comunicazione digitale con interesse e con cura, ma soprattutto proponendosi come alternativa davvero valida nel mercato. Siamo consapevoli che troppe agenzie professano il “nuovo" e l'innovazione come unica soluzione, ma a lungo termine è l’esperienza e la strategia che determinano - con risultati misurabili e tangibili - il successo. Nel nome stesso dell’agenzia c’è il concetto chiave di tutto il nostro metodo: tagliamo l’eccesso e semplifichiamo, consapevoli che, come diceva Bruno Munari “Complicare è facile, semplificare è difficile” e che “Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità”.
Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?
In ogni lavoro cerco di sentirmi appagato e rappresentato, perché cerco di non pubblicare mai nulla che non sia davvero riconoscibile e pulito. I lavori più stimolanti e che ricordo con più affetto sono stati il progetto per il Pastificio Lucio Garofalo nel 2011, dove sono stati raccontati i formati di pasta in modo innovativo e diverso, valorizzando la pasta come opera d’arte; le fotografie di scena per il docu-film sulla vita di Enzo Avitabile con la regia di Jonathan Demme che mi hanno regalato l’emozione di poter conoscere artisti e musicisti di tutto il mondo, di poter condividere 20 giorni di produzione con un regista premio Oscar ed esporre una mostra personale al Castel Sant’Elmo. Negli ultimi mesi sono davvero soddisfatto e felice di aver concluso e pubblicato un progetto per un’azienda produttrice di e-bike che mi ha coinvolto in ogni piccolo processo di produzione.
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?
Partiamo dal presupposto che ho la fortuna di fare un lavoro che si basa su emozioni, armonie, colori e arte.
Le sfide più grandi finora affrontate sono state quelle di divulgare e far comprendere ad aziende e clienti il vero valore del digitale, della comunicazione di qualità, e del giocare secondo le regole.
Molto spesso prima ancora di essere un consulente per le aziende mi ritrovo a dover psicanalizzare manager e imprenditori nel compiere il passo verso l’innovazione, nel credere di più nel proprio prodotto e affidarsi ad una nuova visione.
Sono troppe le agenzie e i finti professionisti che speculano e dissanguano le aziende che ovviamente restano traumatizzate e scottate da approcci senza alcun senso, dove tutto diventa inutile e genera poca fiducia nel mondo del digital branding.
Sei stato a Barcellona nel 2008 come direttore creativo per un’agenzia internazionale di Web Marketing e Digital Design, che ricordi hai della tua esperienza e della città? Ci torneresti?
Barcellona era un sandalo infradito.
Una città comoda, versatile, senza troppi giri di parole. Ognuno poteva essere chi voleva e lo scambio culturale era immenso. Circolava tanta sperimentazione e tanta cultura, anche se a volte si rendevano artisti e artistiche cose che per la cultura Italiana e per il patrimonio artistico-culturale di Napoli non potevano reggere nemmeno lontanamente il confronto. Nel 2008 Barcellona era una perfetta macchina di marketing, le aziende investivano sui giovani, sui master, la città era piena di eventi, concerti, sole, mare, contaminazioni di ogni genere.
In ufficio eravamo più di 40, io ero l’unico italiano e si parlavano quattro lingue: lo spagnolo, l’inglese, il catalano e il napoletano. L’esperienza professionale è stata unica a livello tecnico, c’era una piena fiducia nel capitale umano, ognuno poteva gestire le ore di lavoro in modo agevole tenendo conto però degli obiettivi da raggiungere e le consegne da rispettare. Una metodologia nuova ed innovativa per quel tempo. Quest’esperienza oggi mi è utile per coordinare al meglio risorse e lavorazioni, rispettando la vita.
Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro? Consiglieresti un’esperienza all’estero come hai fatto tu?
Sembra banale ma in questo lavoro se non sei felice e non vai a lavoro contento di ciò che stai per fare allora vuol dire che stai sbagliando tutto. Se non c’è emozione nel pensare, ideare, progettare, coordinare è meglio dedicarsi ad altro.
Questo è un lavoro che premia lo studio, la ricerca della qualità, l’applicazione, la tenacia, la resistenza, il metodo.
Fare un’esperienza all’estero per me è stato edificante, decisivo, vorace. Non si può pensare in grande se non si va a vedere come si fanno le cose al di là dei nostri confini. Il ruolo che si ha nel mondo della comunicazione comincia anche dall’esplorazione e dalla ricerca di ciò che naturalmente ci stimola.
Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita e perché.
Grazie a mio fratello avevo accesso alla visione di film che erano forse un po’ precoci per la mia tenera età, ma gli anni 80 sfornavano pietre miliari che hanno composto meticolosamente l’universo di sogni, sensazioni e caratteristiche della mia attuale personalità.
Back to the Future (Robert Zemeckis - 1985) era uno di quei film che mi hanno stravolto: la narrazione, la possibilità di pensare alle azioni che possono cambiare il futuro (e il passato). Una struttura geniale che mi ha fatto percepire la vita e le azioni da compiere in modo diverso, forse più riflessivo.
Frédéric Beigbeder - Lire 26.900 (99 Francs il titolo originale) Lo ricordo con estrema lucidità perché lo lessi nel 2001 quando ero immerso nel mondo del cambiamento e nell’esplorazione della vita da pubblicitario / art director. Questo libro è stato preparatorio, provocatorio, quasi come un’armatura. In una lettura scivolosa e diretta mi ha indicato cosa non volevo essere ma allo stesso tempo cosa la pubblicità a quel tempo era capace di creare nelle persone. Premonitore per tanti aspetti legati al mondo digitale di oggi.
Una parola che ti rappresenta.
Sicurezza. È quella che sento di avere quando accolgo un mandato, è quella che voglio avere ogni volta che devo compiere una scelta, è quella che scelgo per i miei figli e i miei affetti. La sicurezza non è mai qualcosa di oggettivo ma bisogna crederci per ottenerla. Ma soprattutto la sicurezza perché sono sicuro di aver scelto la mia strada e sono sicuro di poter fare un buon lavoro, perché quando ci guida la passione, la sicurezza ne è l’espressione.
Tre cose a cui non potresti mai rinunciare.
All’amore, alla passione, alla famiglia. Nulla esisterebbe senza.
Cosa ti guida?
Raggiungere il prossimo obiettivo, ma in realtà sono io che guido!
Progetti futuri?
Di progetti in cantiere ne ho tanti, interessanti e in via di sperimentazione e sviluppo.
Il futuro spero mi dia la conferma che ciò che sto costruendo oggi sia d’esempio, nel bene e nel male, per tutti quelli che vorranno intraprendere questa strada.