Urania Casciello //
Generazione Ilas:
Intervista a Federica Mele
Tra fotografia e fotoritocco, non dimenticandosi mai della musica, Federica Mele si racconta a Generazione Ilas.
Federica Mele è nata a Napoli nel 1993.
Ama la musica, la sua macchina fotografica (Samantha), il suo Mac (Johnny Junior), e il suo cane (Argo). Prima di camminare aveva già le mani nell’argilla, grazie ai suoi genitori. Le è sempre stato abbastanza chiaro che avrebbe vissuto di e con l’arte. Non ha mai dovuto scegliere, ha avuto la fortuna di esserci nata dentro. Nonostante il suo amore indiscusso per il fotoritocco e per la post-produzione, che le ha permesso di dare sfogo alla creatività liberamente, quando ha incontrato la macchina fotografica è stato amore a prima vista. Nel 2015 ha frequentato la ILAS, dove ha capito che sarebbe stata felice nel mondo della fotografia e che non avrebbe mai sentito il “peso” del lavoro.
Subito dopo la ILAS ha partecipato a diversi workshop, con Alessia Cosio, Marianna Santoni e Martin Benes (per ben 3 volte) e ha superato una selezione per lo studio fotografico Rotili De Simone.
Progetti attuali?
Oltre ai progetti lavorativi in corso, che continuano a procedere per il meglio, mi sto dedicando alla realizzazione di diversi obiettivi. Il primo è quello di farmi maggiore pubblicità con i social, che avevo un po´ perso di vista. Sto, inoltre, continuando il mio periodo di sperimentazione personale, credo infatti che per un fotografo sia davvero importante.
Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?
Se Marilyn Monroe era celebre per le due gocce di Chanel, nel mio caso due cucchiai di nutella e si parte. No, scherzo! Credo che la mia fonte di ispirazione principale sia la musica. Mi dà, allo stesso tempo, la calma e la carica per affrontare un nuovo lavoro. Nel caso di lavori personali, quello che mi trasmette una canzone spesso mi ispira per un nuovo progetto. Quindi in realtà, no, non ho un vero e proprio rituale, ma la musica è una parte fondamentale della mia vita.
Preferisci lavorare in team o da sola?
Ho lavorato prevalentemente in team, e da queste esperienze ho imparato molto. Ho acquisito maggiore calma e velocità. E il team mi ha spronato soprattutto a guardare le cose in maniera diversa, fuori dalle mie abitudini, uno sguardo nuovo. A mio parere, il team accresce il proprio potenziale.
Nei progetti che ho affrontato da sola, invece, ho avuto la possibilità di sfidare me stessa e vedere fin dove potevo arrivare. Stressante, ma soddisfacente.
Credits: Arkè per Miriade. A.D. Gianluca Tramontano - ph. RotiliDeSimone - P.P. Federica Mele
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
In realtà sì, credo di averlo sempre saputo. Ho iniziato a usare photoshop 5.5 quando avevo 12 anni. La fotografia è arrivata subito dopo grazie alla mia migliore amica, se adesso so cosa mi rende felice lo devo a lei. Quando ero al liceo volevo fare l’architetto, all’università mi sono iscritta all’Orientale, ma ad un certo punto ho capito che trovavo ogni scusa per fotografare o per stare al computer. In quel periodo mio cugino frequentava la Ilas, e non smetterò mai di ringraziarlo per avermi portato lì. Mi ha cambiato veramente la vita.
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?
Alla Ilas ho iniziato a comprendere l’importanza di lavorare e di confrontarsi con altre persone. Ma il ricordo principale riguarda i miei insegnati, Pierluigi De Simone e Fabio Chiaese, per tutto ciò che mi hanno insegnato trasmettendomi il loro amore e la loro passione, cosa che non è da tutti secondo me.
Prima di iniziare le lezioni cercai informazioni su Pierluigi e scoprii che il suo colore preferito è il blu. Non so perché, ma è stato una sorta di segnale (visto che è anche il mio colore preferito) e infatti avevo ragione.
Come si dice “sei il risultato di tutte le persone che incontri e delle esperienze che fai”. Beh, loro sono una parte importante di me e della mia crescita, e non smetterò mai di ringraziarli.
Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiera?
Forse sembrerò un po’ presuntuosa dicendo questo, ma quando vedo un lavoro finito sono sempre abbastanza fiera del gradino che ho superato. E questo mi dà lo slancio per quello successivo. Se proprio devo scegliere un lavoro che più mi rappresenta, è un ritratto che ho fatto al mio cane.
©Federica Mele
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare nel tuo lavoro?
Sicuramente il mio primo vero lavoro: era la prima volta che lavoravo per un importante marchio di borse, avevo una marea di scontorni da fare e delle consegne che per me, all’epoca, erano assurde. Non dormii alcuni giorni per consegnare le foto in tempo. Anche adesso, ogni volta che chiedo la data della consegna, la risposta è sempre “ieri”.
C’è qualcosa che non ti piace o che cambieresti nel mondo della fotografia e della post produzione?
Della fotografia, probabilmente cambierei il modo in cui la si vede oggi. Ogni giorno, attraverso i social, ci troviamo davanti migliaia di fotografie ma quasi nessuno si ferma veramente a guardarla una fotografia.
Per quanto riguarda la post produzione, c’è un dibattito sui pro e i contro da sempre, con l’arrivo del digitale ancora di più, e mi piacerebbe che le persone si aprissero un po’ di più a questa professione (che non è ancora nota a tutti). Viene spesso vista in modo negativo e secondo me è tanto bella quanto la fotografia. Con la la post produzione si apre un altro mondo e non capisco perché molte persone ne siano così intimorite.
Credits: Arkè per Carpisa. A.D. Gianluca Tramontano - ph. RotiliDeSimone - P.P. Federica Mele
Cosa ti appaga di più del tuo lavoro?
Il risultato. Quando dedico ore e ore a un lavoro, poi vederne il risultato è la cosa che mi fa capire che in realtà non sto lavorando.
Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Non ho un’esperienza decennale, ma se c’è qualcosa che ho imparato nel tempo, e che avrei voluto realizzare prima, è che bisogna sempre buttarsi, creare, sperimentare. So che può sembrare banale, anche a me è stato ripetuto molte volte, ma non è così scontato. Ancora oggi è la cosa che dico a me stessa tutti i giorni.
©Federica Mele
Se la fotografia fosse un cibo, quale sarebbe?
Cioccolato. Non potrei vivere senza.
Tre fotografi che ammiri di più?
Francesco Cito, per il suo coraggio e per il modo in cui ha raccontato la sua verità. Il fotogiornalismo non è stato il mio percorso, ma lo ammiro come persona, oltre che come fotografo. Pensare a quello che ha fatto, da dove è partito e dove è arrivato, mi da sempre motivazione.
Richard Avedon, per i suoi ritratti. I suoi soggetti non danno mai l’idea di essere buttati li, a caso, hanno sempre un motivo per essere li, in quel modo.
Shoji Ueda, per il modo in cui è riuscito a portare il surrealismo nella realtà e per l’essenza dei suoi scatti.
Per 24 ore hai la possibilità di cambiare tutti i colori della terra in un solo colore, quale scegli?
Sembrerà strano, ma scelgo il blu! Questo colore mi ipnotizza, ha un ascendente su di me.
Cosa ti aspetta per il futuro?
Non ne ho idea! E forse è proprio questo il bello. Tanti progetti, tante idee per la testa. Sicuramente continuerò con i miei cyborg, ma poi chissà. Una cosa è sicura però, avrò “i piedi ben piantati a terra e gli occhi fissi sulle stelle”, come dice una canzone dei Goo Goo Dolls.